The End of the Tour: la recensione di Maria Laura Ramello
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The End of the Tour: la recensione di Maria Laura Ramello

The End of the Tour: la recensione di Maria Laura Ramello

«Il suicidio di David lo ha trasformato in quel tipo di celebrità letteraria che lo avrebbe fatto rabbrividire». Dopo questa dichiarazione della moglie (rilasciata qualche tempo fa) viene da chiedersi se David Foster Wallace avrebbe avuto da ridire anche guardando The End of the Tour. Non possiamo saperlo, ma è invece molto probabile che si sarebbe fatto dare il numero di telefono degli sceneggiatori e discusso con loro ogni singola battuta del film. Nulla di diverso da quanto aveva fatto con gli editori del fluviale capolavoro Infinite Jest e niente di diverso da quello che avrebbe voluto fare con le parti virgolettate dell’intervista che nel 1996, proprio alla fine del tour promozionale del libro, rilasciò a David Lipsky, giornalista di Rolling Stone.

E di questo parla film. The End of the Tour è la sintetica trasposizione cinematografica di quei 5 giorni di chiacchiere tra Lipsky e Wallace, trascorsi tra lunghi viaggi in auto, voli in aereo, Diet Rite, tabacco da masticare, notti in hotel e letture pubbliche del romanzo.

Nell’inverno del ‘96, un Lipsky trentenne e affascinato chiede di poter intervistare l’autore che sta scalando le classifiche ed eccitando la critica americana. Ottiene di accompagnarlo ad Hungry Mind “celebre e orgogliosa libreria indipendente” di Minneapolis, durante l’ultima tappa del giro pubblicitario dedicato al libro che gli sta dando la gloria. Quello che ne esce è un flusso ininterrotto di scambi di idee su musica, cinema, letteratura, televisione, depressione, fama, cani, fobie e tanto altro.

Senza mai cadere nelle trappole della retorica apologetica il regista James Ponsoldt (The Spectacular Now) costruisce la narrazione sulla pacata e quasi pudica interpretazione dei suoi protagonisti. E se Jason Segel nei panni dello scrittore paranoico, geniale e depresso, riesce a convincere ed emozionare anche chi l’ha adorato in How I Met Your Mother, Jesse Eisenberg incarna alla perfezione un uomo che si specchia nelle sue ambizioni, rimanendone al contempo affascinato e respinto.
Con gli sguardi furtivi del giornalista, con il suo correre per la casa di Wallace alla ricerca di dettagli, con il suo parlare concitato al registratore per non dimenticare nemmeno il più piccolo particolare, si racconta un desiderio che è quasi fame, che è quasi invidia. Allo stesso tempo però si fa sempre più chiaro il ritratto di un David Foster Wallace incastrato in un dissidio interiore senza scampo: voler essere il più intelligente, non voler essere il più intelligente, voler essere il più bravo, non voler essere il più bravo, voler essere famoso, non voler essere famoso. Un dissidio che lo aveva già portato, a soli 28 anni, ad essere ricoverato in una clinica psichiatrica e a passare le giornate «in una stanza lilla con una botola sul pavimento, e nient’altro». Ma forse nessuno poteva davvero capire.

L’intervista su Rolling Stone non uscì mai, fino a che 12 anni dopo Lipsky decise di farne un libro. Aveva appena saputo che David Foster Wallace si era impiccato. Il libro (Come diventare se stessi, edito da Minimun Fax) uscì poi nel 2010; nella postfazione poche parole della sorella raccontano il grande scrittore: «David e i cani, nel buio. Sono sicura che li ha baciati sulla bocca, e gli ha chiesto scusa».

Leggi la trama e guarda il trailer.

Mi piace: come è rappresentato il complicato rapporto intervistatore/intervistato.

Non mi piace: la brutale, seppure necessaria sintesi dei 5 giorni di chiacchiere-fiume.

Consigliato a chi: ama le opere di David Foster Wallace e vuole scoprire qualcosa in più sul grande scrittore.

Voto: 4/5

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