Ray Kroc non ha fondato McDonald’s. È un nome che nemmeno gli appartiene. È più corretto dire che è riuscito a trasformare un chioschetto di hamburger di San Bernardino, California, in un impero dei fast food. Un lavoro di espansione figlio di perseveranza, ossessione, tenacia. E coraggio nel perseguire l’obiettivo a qualsiasi prezzo.
È l’eroe, Ray Kroc, ma anche il villain di una storia che John Lee Hancock (The Blinde Side, Saving Mr. Banks) racconta su grande schermo affidando le chiavi dello spettacolo a un Michael Keaton intenso, magnetico e controverso. La sua è una performance ipnotica sin dall’inizio, quando, nella scena di apertura, l’attore guarda fisso in camera, nei nostri occhi, mentre cerca di convincerci dell’efficienza dei suoi frullatori Multimixer (siamo negli anni ’50). È già un momento chiave perché definisce un personaggio disperatamente alla ricerca del successo, del salto di qualità che gli spetterebbe ma che non arriva mai – esemplari, in questo senso, le scene in casa con sua moglie (Laura Dern), tristi quadretti domestici di un uomo a cui il quotidiano non basta più -.
Il sogno americano, però, parte sempre da qui, da un underdog pronto ad alzare la testa dopo ripetute porte in faccia. E allora l’illuminazione arriva dopo un lungo viaggio fino a San Bernardino, da cui un chiosco di hamburger ha ordinato otto dei frullatori che nessun drive-in voleva. L’attività è dei fratelli Dick e Mac McDonald (Nic Offerman e John Carroll Lynch), due che avevano lavorato a Hollywood durante la Depressione e trovato nella ristorazione l’ambiente giusto in cui costruire il loro American Dream. Ciò che avviene dentro quella piccola cucina ha del rivoluzionario: una catena di montaggio perfetta, studiata nei minimi dettagli, curata nello svolgimento e nella qualità. Un servizio più veloce delle cameriere sui pattini dei drive-in, forse troppo persino per chi l’ha pensato. Ma non per Ray, che capisce di avere la svolta per le mani.
Per film di questo tipo, raccontare i fatti non basta. Serve insinuare, nel pubblico, interrogativi su ciò che si sta guardando. Lo hanno fatto The Social Network e Steve Jobs, e The Founder non è da meno: sfida il senso morale di ognuno di noi con un protagonista affascinante perché ricco di luci e ombre, determinato, a suo modo geniale, ma altrettanto cinico e spietato nel prendersi il sogno di altri per trasformarlo nel proprio. È sinceramente doloroso vedere andare in frantumi il progetto dei McDonald, ma «il business è guerra», come dice Kroc, e in più il denaro può comprare qualsiasi cosa, anche i romantici dal cuore buono.
E allora chi era, davvero Ray Kroc: un genio degli affari che si è fatto da solo, o un opportunista lestofante che non ha avuto remore nell’afferrare e calpestare, pur di arrivare all’agognato successo? The Founder risponde sbattendoci in faccia un’altra domanda: “sicuri non l’avreste fatto anche voi, se ne foste stati capaci?”.
Mi piace:
Michael Keaton in una performance ambigua e affascinante.
Non mi piace:
Ai fratelli McDonald poteva essere concesso più spazio.
Consigliato a chi:
Non cerca un biopic qualunque, ma un film che sollevi forti interrogativi morali.
Voto: 3/5
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