Parla di perseveranza la storia di Ray Croc, il personaggio protagonista di The Founder, che diventa uno dei più evidenti e chiaccherati esempi di successo di sempre. Ma, attenzione, la sua non è una favola, tantomeno a lieto fine. E’ un racconto; una storia su come ambizione, fame e assenza di scrupoli siano stati gli ingredienti di una formula vincente. E’ una storia ben fatta e ben raccontata, quel tanto che basta per insinuare il dubbio morale in ognuno di noi.
Ma se McDonalds, il successo prima citato, è un nome fin troppo conosciuto, chi è Ray Croc? Impersonato dalla faccia simpatica di un Michael Keaton in continua ascesa, era un venditore, un imbonitore determinato ma nemmeno troppo persuasivo. La sua è una storia d’amore, il classico colpo di fulmine che il destino mette sulla strada dei fratelli McDonalds, Dick e Mac, proprietari di un chiosco di hamburger rivoluzionario, un posto dove un ordine costa meno di cinquanta cent ed è pronto in meno di trenta secondi. Ma Dick e Mac sono tanto orgogliosi della loro creatura, quanto gelosi, e per quanto solleticati dall’idea di un’espansione mondiale, non hanno la stessa tenacia di Ray, disposto a mettere un ipoteca sulla casa, tutto quello che ha, pur di seguire il suo istinto. Un risultato che oggi vediamo molto ben ricompensato.
Dopo la brillante messa in scena di Saving Mr Banks, John Lee Hancock continua a seguire le orme del semi-biopic, focalizzando l’attenzione sulla nascita del fenomeno imprenditoriale dei fast food. Non ci sono colpi di testa o eccessive licenze artistiche per una trama lineare e dal ritmo altalenante, dove ai frizzanti capo e coda, segue una parte centrale più didascalica e meno affascinante. Michael Keaton è perfettamente a suo agio nell’attirare su di sè la maggior parte delle inquadrature, un gioco da ragazzi dopo l’esperienza Birdman. La figura di Croc, l’uomo che trova la gallina d’oro all’ultimo treno della sua esistenza, brilla per la metamorfosi cinica ed euforica che corre parallela agli eventi raccontati, passando come un rullo compressore su tutto quello che trova lungo la strada. Una dittatura artistica fin troppo marcata, tanto da limitare in maniera significativa le performance di Nick Offerman e John Carroll Lynch e dei loro personaggi semplici ma molto empatici.
Niente più di questo. The Founder, inno al Sogno Americano, è una sequenza di fatti, una dimostrazione pura della lotta tra il bene e il male insinuata nel solito personaggio. Per una sceneggiatura che non offre spunti mirabolanti, resta soltanto un gioco di immedesimazione al quale è impossibile sottrarsi. Quale scelta allora? Uno spietato sciacallo o uno strepitoso impreditore? Di sicuro, ancora una volta, un grande Keaton.
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