Se si volesse trovare un filo conduttore che dia una coerenza concettuale alla filmografia di Eli Roth, potrebbe essere la sperimentazione di quest’ultimo sui confini invalicabili del linguaggio stesso. Comunque non è assolutamente necessario scavare così a fondo nell’opera di un regista che alla fin fine vuole solamente creare intrattenimento facendo film che piacciano prima di tutto a lui.
È questo lato del regista che rende “The Green Inferno” un film godibilissimo, pur implicando una certa disponibilità dello spettatore. Roth si è cimentato quasi esclusivamente nel genere horror lungo tutta la sua carriera. Film discreti, apprezzabili, ma senza particolari guizzi. Questo suo ultimo lavoro attira l’attenzione perché trattasi di una produzione hollywoodiana di un sotto-genere ormai creduto morto e sepolto: il Cannibal movie.
Roth ama il cinema, prima che un lavoro per lui è una passione. E ne sa anche molto. Ispirandosi chiaramente agli autori italiani che diedero vita al genere negli anni settanta e ottanta, si parla in particolare di Lenzi e Deodato, Roth ne rispetta i tempi e le dinamiche senza però rinunciare a fare il suo film. Non a caso in tutta la prima metà di film lo spettacolo truculento si fa aspettare a favore di una denuncia socio-politica per niente velata.
I cannibali d’altronde non sono i cattivi. Si tratta di popolazioni native del luogo che portano avanti le loro tradizioni e usanze. Siamo nel XXI secolo, ma dentro l’inferno verde il tempo si ferma. Chi siamo noi per andare da loro e definire barbarico qualcosa che nella loro società è ritenuto normale da millenni? È pur sempre l’uomo moderno a disboscare la Foresta Amazzonica, portando all’estinzione tutte le forme di vita che si trovano all’interno, indigeni inclusi. Ai titoli di coda, allo spettatore viene lasciato questo splendido e per niente banale dilemma morale.
Detto ciò, la mattanza c’è e Eli Roth probabilmente supera pure il già accennato confine del linguaggio. La seconda metà di film mette in scena torture ai limiti dell’umana concezione e Roth mostra tutto: non c’è un bulbo oculare tolto a mani nude o una donna impalata che non passi davanti alla cinepresa. Lo spettacolo è a prova di stomaco, molto crudo e senza un minimo di autoironia. Per questo il vietato ai minori di 18 anni è più che giusto. Tolte le quattro o cinque scene veramente pesanti, il resto è una continua tensione che non abbandona mai lo spettatore.
“The Green Inferno” è un film compiuto. Come da manuale, mette molta tensione, disgusta in alcuni punti e il sotto testo politico non è messo in secondo piano. Non è sicuramente un film rivoluzionario, ma resta comunque un sentito omaggio a un tipo di cinema che ormai non si fa più.