Dopo aver passato molti mesi al gelo, gli operai di una piattaforma petrolifera dell’Alaska salgono sull’aereo che li riporterà a casa. Tra loro c’è pure John Ottway (Liam Neeson), responsabile della sicurezza col fucile sempre sotto braccio e qualcosa che non va nel suo passato: il ricordo di una donna lo ossessiona, lo spinge molto vicino al suicidio. Poi l’aereo precipita e tutto il resto finisce in secondo piano: John e i pochi colleghi che sopravvivono allo schianto si ritrovano circondati dal ghiaccio, dalla foresta e da un branco di lupi ostinati e feroci. Uno in particolare, enorme e grigio, li guida nella caccia.
The Grey esce in Italia con parecchio ritardo, ma è uno di quei recuperi tardivi per cui vale la pena festeggiare: dimostra come si possa costruire un film di genere quasi soltanto per luoghi comuni – l’uomo con un trauma nel passato che non ha più nulla da perdere, le dinamiche di gruppo in un ambiente ostile e isolato, il bodycount – senza perdere un centimetro in suggestione ed efficacia del racconto. Carnahan qualche anno fa, in particolare dopo Narc (2002), era considerato uno degli shooter più promettenti di Hollywood – quasi un autore – ma si era perso in fretta tra film troppo manieristici (Smokin’ Aces), e una costosa stupidaggine come A-Team. The Grey ribadisce invece tutto quel che di buono avevamo intuito di lui: in ogni sequenza – lo schianto aereo, il discorso al compagno morente, gli scontri per stabilire il leader, il sacrificio di lasciare indietro il più debole – il pathos è garantito attraverso una costruzione registica brillante e originale. Le potenzialità del film di genere, in questi casi, diventano lampanti – è quasi uno spot per il cinema tutto.
The Grey, che sembra all’inizio un film duro e veloce, un thriller classico riducibile all’etichetta “Liam Neeson contro i lupi”, si rivela così un racconto epico, di romanticismo infinito, quasi una parabola umanista – sorprendentemente del tutto laica (c’è una scena nel prefinale che ghiaccia il sangue). Non c’è Dio in The Grey, e la Natura è senza scampo: l’uomo si tiene in piedi in memoria dei suoi affetti, in difesa delle cose in cui crede – ma è una battaglia tutta interiore, pura volontà (un po’ come in The Road). E gli ultimi minuti prima dei titoli di coda – che sono tronchi, privi di catarsi – confermano una visione del mondo senza sollievo, che da una produzione hollywoodiana – seppur semi-indipendente – non ci saremmo mai aspettati. Un film bellissimo, e a suo modo perfino coraggioso.
Leggi la trama e guarda il trailer del film
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Il coraggio nel finale, la regia di grande talento
Non mi piace
Il notevole ritardo con cui il film viene distribuito in Italia, e che potrebbe influire negativamente sugli incassi
Consigliato a chi
Ama il cinema di genere americano e vuole riscoprirlo nella sua forma migliore
Voto: 4/5
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