The Hateful Eight: la recensione di paulinho
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The Hateful Eight: la recensione di paulinho

The Hateful Eight: la recensione di paulinho

“The Hateful Eight” è un film spiazzante, non è assolutamente come ce lo si aspetta. Ad una persona che del regista in questione ha visto solamente le ultime opere (da “Kill Bill Vol. 1” in poi) potrebbe addirittura non sembrare un suo lavoro. L’ultimo Tarantino aveva coccolato il pubblico con ritmi frenetici, una violenza tanto stilizzata quanto divertente e delle citazioni cinematografiche più o meno afferrabili da tutti. Ciò gli ha fatto ingraziare le masse e lo ha elevato allo status di regista-divo.
Ora Tarantino torna alle origini. Elimina tutti gli elementi che lo hanno reso un autore molto apprezzato dal pubblico e realizza un’opera quasi sobria a livello visivo. L’impianto è puramente teatrale, le vicende si svolgono nell’arco di una sola notte in un’unica ambientazione. In uno spazio ristretto il regista elabora una sceneggiatura imponente, farcita di lunghi dialoghi brillanti, che porterà ad un inevitabile scontro i protagonisti.
Tra “Le Iene” e “Pulp Fiction”, “The Hateful Eight” è un’opera corale che si avvale della struttura a capitoli per la costruzione e decostruzione di quello che si rivela essere a tutti gli effetti un giallo. Il regista allunga i tempi sfidando il pubblico a venire a capo del mistero. Quando la violenza esplode, questa non è stilizzata come nelle opere precedenti. È potente, va dritta allo stomaco.
Il film è molto lento e richiede un certo impegno seguirlo, ma l’attenzione non viene mai meno per più motivi: la recitazione magistrale del cast (Jennifer Jason Leigh è superba), il già citato talento di Tarantino nella stesura dei dialoghi e, infine, i misteri che piano piano vengono a galla.
L’impianto formale è pazzesco. Come a teatro, allo spettatore viene regalato un opuscolo che presenta il film e il cast e il tutto è preceduto da un’overture accompagnata dalle magistrali musiche di Morricone. La scelta di girare in pellicola nel formato 70mm appaga poiché dona al tutto un respiro deliziosamente vintage, con il rumore della pellicola e i suoi sporadici salti. Se in “Django Unchained” del genere western vi si riscontravano solamente le ambientazioni, qui vi è da parte dell’autore la volontà di ricreare l’esperienza cinematografica stessa che il genere proponeva ormai decenni fa. Un’operazione molto simile a quella fatta con “Grindhouse – A prova di morte”.
Terminata la visione, se ne esce disorientati e confusi. “The Hateful Eight” è l’opera più impegnata e difficile di Tarantino. Un film destinato a dividere pubblico e critica, per il suo essere politico senza una minima traccia di retorica moralmente accettabile. Tarantino è profondamente antirazzista, ma non si preclude la frecciatina a chi lo accusava del contrario (“Now, girl, don’t you know darkies don’t like being called niggers no more? They find it offensive”). I suoi personaggi sono persone orribili, senza distinzione di sesso o etnia.
L’autore si interroga sul significato di giustizia in una società nella quale la violenza rimane la prima forma di interazione tra gli uomini. Una denuncia spietata all’America, nata nel sangue e nel sopruso dei popoli. Questo film ci mostra un Tarantino sorprendentemente maturo, consapevole della sua arte e del messaggio di cui vuole farsi portatore, senza cercare di assecondare il pubblico in alcun modo. La sua opera più complessa da affrontare e comprendere, ma una volta trovata la chiave, potrebbe rivelarsi la migliore.

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