“The imitation game” (id., 2014) è il quarto lungometraggio del regista norvegese Morten Tyldum.
In un mercato poco lineare e quasi imperscrutabile gli adattamenti (o spunti) tratti da ‘storie ‘vere’ sono sempre (più o meno) appetibili ai produttori-registi e (forse) anche al pubblico. Insieme al film di Eastwood è in sala una pellicola che ha riferimenti non molto conosciuti mentre sta per imperversare lo scontro (durissimo) tra gli alleati e la poderosa armata nazista durante la seconda guerra mondiale.
Un cinema di bella esposizione e con tratti accurati ma che lascia perplessità sulla esposizione di immagini tra loro e la connessione (vera) storica per il pubblico che deve recepire i resoconti di cui si parla. In altre parole manca il vero ‘pathos’ narrativo soprattutto in tutta la prima parte e le figure di ‘studiosi’ oltre quello che succede all’esterno appare ‘incentrato’ su pochi nessi psicologi e il piatto appare alquanto alleggerito (per piacere il più possibile).
“The imitation game” è un film ordinariamente pulito e preciso nella composizione generale con una linearità leggera e semplice fino all’epilogo che dà riferimenti di commozione ma fuori dal contesto del racconto stesso: e ciò che di oggi viene riesumato nel personaggio di Alan Turing appare alquanto gratificante e positivo lasciando allo spettatore la sensazione che le didascalie finali dovrebbero far pensare a una finzione storica ben più precisa e ad un documentarismo capillare e convincente. In altra parole si ha la (netta) sensazione che il racconto avrebbe potuto essere un altro con più convinzione e forza . D’altronde gli eventi avrebbero dovuto dare ben altro al personaggio di Alan e a tutti quelli di contorno. In questo senso la regia latita e ci propone una una ripresa alquanto (troppo) didascalica e funzionale al solo volto del ‘matematico’ e il resto è alquanto aggiuntivo con un riempimento di comodo. Gli ultimi minuti compensano (emotivamente) tutto quello costruito per ‘decriptare’ il Codice Enigma ma il percorso non ha scatti, inventivi e congegni di sovrapposizione (immagini repertorio-finzione) ben strutturato e cadenzati per quello che concerne tutto quello che accade in territori lontani (dallo sbarco di Normandia, ai percorsi navali e alle fasi di avanzamento nel pieno dell’Europa) e soprattutto come il personaggio Alan è visto in alto. O per chi deve dirne non ha più nessun elemento: tutto (ma proprio tutto) è stato bruciato: informazioni, dispacci e scritti di vario genere che partono da un certo Winston Churchill. Da questo punto di vista il film apre molte domande e risposte irrisolte e la ‘considerazione’ postuma (2013) del grande genio (nascosta a tutti per 50 anni perché omosessuale) dalla Regina d’Inghilterra (come è scritto alla fine del film) lascia considerazioni amarissime e un film di consegna non ficcante come avrebbe dovuto essere. Parliamo di eventi storici di rilevanza mondiale e di privazione della vita (condanne) a uomini poco consoni per il vivere comune inglese appagato dalla giustezza senza interferenza alcuna (Alan fu “più fortunato” di tanti altri ma la sua fine tragica a soli 41 anni fa pensare e riflettere molto su quello che la società inglese -e non solo- fa per scardinare l’odore di ciò che non piace). Naturalmente il discorso porterebbe molto lontano (al di là di quello che è il contesto inerente il film in questione) e fuori dalla storia in oggetto.
Il matematico Alan Turing (impersonificato benissimo da uno spettrale, dimesso e cavernoso Benedict Cumberbatch) durante l’ultimo conflitto mondiale mise le propria ‘fulgida’ intelligenza al sevizio dell’esercito inglese per ‘carpire’ tutto il nascondimento segreto della macchina Enigma (il Codice in cui erano nascoste e criptate tutte le informazioni che provenivano da Hitler per i vari piani dei campi di battaglia); con un gruppo di matematici polacchi che fuggirono all’occupazione nazista del loro Paese costruì un sistema di ‘intelligenza non umana’ (inizio della ‘moderna informatica’), un macchinario di nome ‘Christopher’ che avrebbe dovuto smascherare il sistema criptato. Alan e gli altri erano reclusi a loro stessi: nessuno sapeva e veramente pochissimi avevano da loro risposte. Segregati nel loro mondo e l’omosessualità di Alan creò (quasi) un caso di reietto rifiutato, isolato e sconfitto, lasciato vivere in una condanna di libertà con la castrazione chimica. Tutto finito nell’oblio assoluto fino al suo suicido a quarantuno anni (nel 1954).
Il film tende alla ‘sacralità’ laica dell’uomo rinchiuso e psicologicamente ‘deplorevole’ ma non va fino in fondo cercando il facile inganno di una commozione di comodo e avrebbe dovuto dare un resoconto molto più severo degli avvenimenti: e alla fine Alan aleggia come personaggio ancora scomodo (e il postumo rinverdire in bellezza delle frasi in didascalia gridano ‘oltre’ Christopher e tutto quello che la storia non ha detto e non dice in molte altri episodi). Alan genio di invadenza arriva a noi con ‘ironia’ sopra le righe di un criptato ancora da decifrare.
La regia di Morten Tyldum è abbastanza funzionale al personaggio del matematico ma appare poco espressiva, fiacca, alquanto povera e distaccata.
Voto: 6 +.
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