The Iron Lady: la recensione di Annu83
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The Iron Lady: la recensione di Annu83

The Iron Lady: la recensione di Annu83

Meno male che c’è Meryl Streep…
La storia e il giudizio di questo film tanto atteso devono passare imprescindibilmente da questa, tanto vera quanto amara, premessa.
Margaret Thatcher, la Lady di Ferro, è un personaggio conosciuto. Primo Ministro inglese per ben 3 mandati, divise l’opinione pubblica con le sue scelte, il suo carisma, la sua visione a volte monocromatica della vita reale e di quella politica, scegliendo sempre la via più diretta in tutte le questioni che affrontava, nel bene e nel male.
Al contrario, la pellicola comincia con il dilemma di una scelta personale mai presa: decidersi una volta per tutte a gettare gli abiti appartenuti al defunto marito Denis, suo compagno di vita per più di mezzo secolo.
Da qua comincia un delicato e intimo ritratto di Margaret, ormai vecchia e preda della solitudine, dei ricordi, della solitudine dei ricordi, dell’Alzheimer e di una senilità sempre più ingombrante e ricca di angoscia. Un’angoscia magnificamente rappresentata da un’attrice a sua volta magnifica, capace di dire con lo sguardo ben più di quello che altre colleghe riuscirebbero a fare parlando per decine di minuti.
Tratteggiato molto bene questo aspetto, si passa a un vorticoso susseguirsi di flashback, che porteranno a ripercorrere la gioventù di M, dalla laurea ad Oxford passando per i primi interessi politici, il matrimonio, il primo incarico come Ministro dell’Istruzione e la definitiva consacrazione come Primo Ministro. Sullo sfondo una vita matrimoniale color pastello, al limite della superficialità, frenata da un’ambizione smodata; un rapporto coi figli spesso difficile e discutibile in contrapposizione a una smisurata e irrefrenabile voglia di far carriera. Un lungo lamento sull’inconciliabilità tra determinazione e mediazione, fino quasi a far sentire blasfema, grazie anche alla mimica facciale della protagonista, la parola “compromesso”.
Il film, in effetti, è tutto qua, semplice e lineare. Si potrebbe dire banale. Quello che sbalordisce è la differenza di emozioni che una stessa attrice è in grado di regalare interpretando due età differenti di una stesso personaggio. Da questo scontro tra forza (carriera politica) e debolezza (la frustrante vecchiaia di una donna che fu in grado di comandare un paese come la Gran Bretagna) ne esce una Streep stupenda nella seconda parte, e ridimensionata nella prima. Ed è un bene, perché le emozioni sono preferibili alla fredda narrazione. Le scene finali, dove viene finalmente rappresentata una “cognizione di demenza”, sono le migliori di un film che parte e continua su un binario troppo retto e talvolta monocorde, reso migliore soltanto da buone interpretazioni degli attori che circondano la protagonista.
Una Streep, dicevano, ridimensionata da un personaggio fin troppo povero di sfumature, con contorni troppo netti e comportamenti fin scontati. Non può, questa interpretazione, non richiamare alla mente Miranda Priestly. Due personaggi simili, carismatici e accentratori, ma con una differenza fondamentale a livello interpretativo: Miranda era un personaggio di fantasia, e come tale permetteva una flessibilità maggiore sotto questo punto di vista. E questo rese quell’interpretazione, a mio parere, epica.
Ciò che non sarà mai questa, ma almeno…. meno male che c’è Meryl Streep che ha salvato un film un po’ banale.

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