Dopo lo scanzonato musical “Mamma mia!”, la regista Phyllida Lloyd riprende la sua egregia protagonista, che in quel film aveva fatto cantare e ballare sulle note degli Abba, e la imbarca in un film biografico-politico su una delle donne più discusse dello scenario internazionale degli anni ’80. Tailleur castigato, collana di perle al collo, capelli impeccabilmente cotonati e denti sporgenti, la somiglianza di Meryl Streep con la Tatcher è straordinaria, specialmente quando la ritrae da anziana, in preda all’Alzheimer e tormentata da voci, ricordi e immagini del suo passato. La regista ne fa quasi un personaggio da tragedia classica che passa i suoi ultimi giorni in solitudine, circondata da pochi assistenti e dalla figlia, che tendono a isolarla dall’esterno, rendendola quasi prigioniera nella sua casa di lusso. Qui passa in rassegna gli eventi fondamentali della sua vita: le modeste origini, la sua famiglia, la volontà di affermarsi in politica, in un ambiente tradizionalmente in mano a soli uomini, l’amore per il marito e i figli. Tra un flashback e l’altro, il film mostra un pezzo di storia britannica e non solo: le tensioni e gli episodi di violenza degli anni ’70 e ’80, la guerra delle Falkland, la caduta del muro di Berlino. Più efficace nel delineare la quotidianità dell’anziana Tatcher, il film non decolla nelle altre parti: convenzionale e piattamente narrativo quando descrive gli anni giovanili dell’ex premier, confuso e retorico quando mostra un po’ sbrigativamente le tappe della sua politica, in bilico tra spunti comici e altri drammatici. Un film poco coinvolgente e poco omogeneo, che tende a fare della Tatcher un’icona e che pare, in alcuni momenti, innalzarle un monumento. Resta la magistrale prova della Streep, impeccabile e impagabile come sempre, che regge sulle sue spalle l’intero film. Puntuale la nomination all’Oscar.
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