Futuro prossimo, anno 2025: gli Stati Uniti hanno inventato un segnale radio che agisce a livello cerebrale bloccando sul nascere gli interni criminali. Gli unici immuni sono i poliziotti, dotati di un chip sottocutaneo di protezione, un paradosso che definisce lo spirito della storia (i poliziotti sono gli unici a poter delinquere) e la rende quanto mai al passo con la cronaca di questi giorni. Comunque: mancano pochi giorni al lancio del sistema che potrebbe mettere fine per sempre al crimine negli Stati Uniti e c’è giusto il tempo necessario per un ultimo, gigantesco colpo. Lo progettano l’ex capo di una banda di rapinatori (Edgar Ramirez), il figlio frustrato di un boss della malavita (Michael Pitt) e la fidanzata di quest’ultimo (Anna Brewster), di professione hacker: si tratta di svaligiare un deposito di banconote, portar via 5 miliardi di dollari appena stampati e attraversare il confine con il Canada senza farsi sparare.
The Last Days of American Crime è il terzo action americano ad alto budget (almeno presumibilmente, nonostante sia stato girato in Sudafrica) che si aggiunge agli originali Netflix nel giro di pochi mesi, per questo si offre a una prima distinzione. Se 6 Underground di Micheal Bay è un action astratto, disinteressato a trama e personaggi, e Tyler Rake è un classico action character-driven, nella tradizione del cinema muscolare anni ’80, questo sci-fi di Olivier Megaton è invece un cinecomic che fa il possibile per ricostruire con efficacia la storia a suo modo sofisticata del graphic novel da cui è tratto. È un heist movie ed è un film high concept, cioè ruota attorno a una rapina ed è costruito a partire da un idea originale e ambiziosa.
Purtroppo il processo di riscrittura è modesto e la bidimensionalità dei personaggi cartacei si traduce in una messa in scena più caricaturale che suggestiva: mai come in questo caso è un problema di regia, nel senso che trasformare un fumetto in una fiction audiovisiva non è mai un lavoro banale, quello che un lettore è disposto ad accettare è molto diverso da quello che sospende l’incredulità di uno spettatore. Olivier Megaton è uno che si è fatto le ossa con i sequel di Transporter e Taken, evidentemente non ha lacune dal punto di vista tecnico, ma ha uno sguardo datato (sembra roba uscita vent’anni fa) e soprattutto è un pessimo narratore. È incredibile che gli ci vogliano due ore e mezza per raccontare così poco. È incredibile soprattutto che in due ore e mezza non riesca a “sbozzare” nemmeno un personaggio oltre la superficie di costumi e pettinature. 150 minuti e quando il film finisce ti pare di non aver visto niente.
Certo, The Last Day of American Crime è stato penalizzato anche dal timing sfortunato con cui è uscito, ovvero nel pieno delle proteste contro le forze dell’ordine per la morte di George Floyd. Nel film la polizia è violenta, l’FBI corrotto e le strade sono invase da manifestanti; addirittura in una scena un agente cerca di soffocare la protagonista femminile, creando un cortocircuito con la cronaca così mal presentato che più che puntuale sembra fuori luogo. Per questo un baraccone infantile e grossolano, ma a tratti anche divertente (la scena del parricidio è formidabile) come questo è stato massacrato dalla critica (0% su Rotten Tomatoes mentre scriviamo) e detestato dal pubblico (3,8 su 10, su Imdb). Ecco, non è così brutto. È superficiale, troppo lungo, incredibilmente tamarro, ma in altri tempo avrebbe potuto essere accolto come un discreto passatempo per giovani maschi in cerca d’azione.
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