The Lobster: la recensione di Mauro Lanari
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The Lobster: la recensione di Mauro Lanari

The Lobster: la recensione di Mauro Lanari

Il cinem’allegorico no, pietà, soprattutto se tratta di fenomeni attuali, reali, locali e non dell’ineffeffabile. Lanthimos, punta di diamante della new wave greca, cerc’un’opera sarcastica e grottesca sul conformismo (familiarista e non) e sull’odierna deriva del proprio Paese, invece travolge lo spettatore con una cinica, sadica crudeltà più tediosa che sgradevole. Il New York Times ha definito “The Lobster””assurdo, inquietant’e divertente”: dove, come, quando? Distopia non YA ma del vecchio tipo (“Fahrenheit 451”, “Orwell 1984”), ch’attinge derivativamente sia dalle geometrie autoritarie con mdp fiss’e frontale (inventate non da Wes Anderson bensì assai prima, da Paradžanov a Greenaway: il protagonista Farrell è un architetto, nello script è ricorrent’il tema del ventre, gli sfiancanti reiterat’inserti d’una classicheggiante sezione d’archi evocano le peggiori soundtrack nymaniane del regista britannico), sia dal surrealismo bizzarro e low-budget com’in “Kill Me Please” (2010: allora l’hotel kubrickiano era per la gestione dei suicidi, adesso è per celibi e nubili d’un sistema in-civile ch’obblig’a viver’in coppia e condann’a trasformars’in animale chi resta solo e dunque sarebbe un esser’umano fallito), “recitazion’asettica e impenetrabile”, contrapposizione fra due specular’ideologie totalitarie che puniscono single e innamorati, simbolici pur’i difetti simili usati com’affinità elettive nella selezione del partner. Epilogo pseudaperto sulla capacità d’un amore incondizionatamente cieco. “Uno dei tanti strampalati film da festival che piacciono ai frequentatori delle sale d’essai e lasciano delusi e interdetti gl’altri”.Il cinem’allegorico no, pietà, soprattutto se tratta di fenomeni attuali, reali, locali e non dell’ineffeffabile. Lanthimos, punta di diamante della new wave greca, cerc’un’opera sarcastica e grottesca sul conformismo (familiarista e non) e sull’odierna deriva del proprio Paese, invece travolge lo spettatore con una cinica, sadica crudeltà più tediosa che sgradevole. Il New York Times ha definito “The Lobster””assurdo, inquietant’e divertente”: dove, come, quando? Distopia non YA ma del vecchio tipo (“Fahrenheit 451”, “Orwell 1984”), ch’attinge derivativamente sia dalle geometrie autoritarie con mdp fiss’e frontale (inventate non da Wes Anderson bensì assai prima, da Paradžanov a Greenaway: il protagonista Farrell è un architetto, nello script è ricorrent’il tema del ventre, gli sfiancanti reiterat’inserti d’una classicheggiante sezione d’archi evocano le peggiori soundtrack nymaniane del regista britannico), sia dal surrealismo bizzarro e low-budget com’in “Kill Me Please” (2010: allora l’hotel kubrickiano era per la gestione dei suicidi, adesso è per celibi e nubili d’un sistema in-civile ch’obblig’a viver’in coppia e condann’a trasformars’in animale chi resta solo e dunque sarebbe un esser’umano fallito), “recitazion’asettica e impenetrabile”, contrapposizione fra due specular’ideologie totalitarie che puniscono single e innamorati, simbolici pur’i difetti simili usati com’affinità elettive nella selezione del partner. Epilogo pseudaperto sulla capacità d’un amore incondizionatamente cieco. “Uno dei tanti strampalati film da festival che piacciono ai frequentatori delle sale d’essai e lasciano delusi e interdetti gl’altri”.

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