Il sangue indiano di Depp, originario cherokee, scorre nelle vene di Tonto, protagonista dell’ultimo film dell’attore, The lone ranger.
Affiancato da Armie Hammer nei panni del ranger solitario, Depp, servendosi del suo personaggio, intraprende un’opera di riscatto nei confronti degli indiani che l’ambiente hollywoodiano ci ha mostrato per molti anni come selvaggi e malvagi. L’originale figura di Tonto infatti, quella della celebre serie televisiva andata in onda negli anni 50 a cui il film deve sia nomi che personaggi, risulta molto più distaccata emotivamente rispetto a quella propostaci da Depp. Il Tonto deppiano è pieno di sentimenti che possiamo definire umani: sentimenti che scopriremo, insieme al nostro ranger solitario, non appartenere a quegli uomini in giacca e cravatta che si definiscono paladini della società civile.
Il film presenta la tipica impostazione delle pellicole Disney in cui esiste uno scontro tra il buono e il cattivo in cui noi, insieme al protagonista, siamo invitati a scegliere che posizione prendere.
Solo l’occhio più esperto di un adulto, e non quello di un bambino però, potrà cogliere veramente le diverse sfaccettature che caratterizzano questo scontro.
Uno di questi aspetti si traduce nel contrasto, costantemente presente nel film, tra baratto e furto.
L’apparente “selvaggio” Tonto è sempre disposto a cedere qualcosa dei suoi miseri averi anche in cambio, per esempio, di un piccolo chicco d’uva, quando invece gli uomini d’affari non solo si impossessano, senza alcuno scrupolo morale, di tutto ciò che vogliono, ma distruggono anche ciò che non gli appartiene pur di raggiungere la ricchezza. A tal proposito è importante ricordare una scelta registica molto significativa, che forse potrebbe essere percepita nell’inconscio anche da un bambino, e che potrebbe richiamare in qualche modo il contrappasso dantesco: il capo ferroviere viene ucciso e schiacciato dallo stesso argento che nella vita era stato per lui così importante. L’avidità di questo personaggio a tratti richiama quella del Mazzarò del nostro Verga.
La bravura di Verbinski è proprio quella di proporre agli adulti tematiche importanti quali il rapporto che l’economia ha avuto con la nascita dell’America o il senso di giustizia, inserendole in un film indirizzato anche a un pubblico più piccolo; per questo motivo il regista non approfondisce le personalità dei vari personaggi ma si limita ad offrire un’immagine di quello che rappresentano: religiosi, soldati o borghesi diventano delle semplici caricature, mentre i nostri due protagonisti rappresentano la presa di posizione che l’uomo meno superficiale dovrebbe prendere nei confronti di una società gestita dai “cattivi”.
Purtroppo però dal punto di vista artistico la storia risulta mal gestita, soprattutto nei tempi, e il regista dà particolare peso a scene poco importanti per la trama del film, forse inserite proprio per accontentare la parte non adulta di pubblico. Lo scenario è quello tipico del western con i suoi elementi che più lo contraddistinguono: La ferrovia, il saloon, lo sceriffo e la magnifica Monument Valley. Alcune scene riprendono i grandi registi che già in passato si sono occupati di questo genere, come Zemeckis e in particolare Ritorno al futuro parte terza.
Elementi e musiche, che ricordano molto le tipiche melodie di Morricone e, a tratti, quelle della saga de I pirati dei Caraibi, insieme all’ottima fotografia di Roman Vasyanov e le interpretazioni di attori di un certo calibro come Depp, Carter e Fichtner, regalano al film una grande spettacolarità.
Sempre per quanto riguarda Depp, oltre che a quello indiano, nelle sue vene scorre ancora il sangue dell’ormai inseparabile Jack Sparrow, ma come ha affermato lo stesso attore in una recente intervista, il pirata è sempre dentro di lui: “Non se ne va mai e a volte nemmeno riesco ad arginarlo”.
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