David Lowery ha la mano leggera. Così leggera che giusto un anno fa in molti (tra cui noi) si erano stupiti di come fosse riuscito a mettere insieme una specie di poema audiovisivo sul tempo, l’amore e la morte senza trasformarlo in una installazione museale o in un predicozzo misticheggiante. Quel film si chiamava A Ghost Story e, in termini stilistici, diceva tutto quello che si poteva dire del suo autore: romantico – secondo una sfumatura vagamente hipster -, ambizioso e refrattario al discorso retorico.
Un anno dopo Lowery firma il film d’addio di Robert Redford e deve inevitabilmente adattare la propria sensibilità all’importanza dell’occasione e del personaggio. Con lui tra l’altro Redford aveva già lavorato in Il drago invisibile, e si intuisce sia stato il divo a nominarlo maestro di cerimonia.
The Old Man & The Gun lavora sulla mitologia redfordiana cercando il baricentro di un immaginario costruito in sessant’anni di mestiere. Sarebbe un thriller, ma il protagonista è un bandito gentile, un rapinatore di banche che ha le cautele di un commesso viaggiatore e l’eleganza di un ballerino. In sostanza del thriller ci sono le premesse ma mai la pratica, che invece è quasi da rom-com, a volte da western urbano.
Poi metteteci che siamo nel 1981, la fotografia si adegua – come le auto e i costumi -, e ne esce una specie di eterno presente cinematografico in cui Redford (che continua miracolosamente a dimostrare un’età indefinibile sopra i 60) è già stato il Sundance Kid e Johnny Hooker, ma in definitiva ha trovato se stesso nei panni di Sonny Steele, il cavaliere elettrico.
The Old Man & The Gun è questo, una passerella di false memorie: cassieri che si fanno rapinare volentieri, detective che non ci tengono particolarmente a risolvere il caso, vedove innamorate che perdonano tutto, figli perduti che non serbano rancore. È come se fosse il cinema stesso, attraverso lo svuotamento dei generi e la sovversione delle regole, a dare il congedo al divo.
E così, in attesa di scoprire come sarà l’addio di Eastwood nell’imminente The Mule, torna in mente quello simmetrico e opposto di Paul Newman in Era mio padre, così disperatamente cupo: “This is the life we chose, the life we lead. And there is only one guarantee: none of us will see Heaven”.
Redford e Newman, fino alla fine, ai lati diversi della stessa medaglia.