The Old Man & the Gun
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The Old Man & the Gun

Il film d'addio al cinema di Robert Redford, in sala dal 20 dicembre 2018

The Old Man & the Gun

Il film d'addio al cinema di Robert Redford, in sala dal 20 dicembre 2018

The Old Man & The Gun di David Lowery
PANORAMICA
Regia (3.5)
Interpretazioni (3.5)
Sceneggiature (3)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3)
Colonna sonora (4)

David Lowery ha la mano leggera. Così leggera che giusto un anno fa in molti (tra cui noi) si erano stupiti di come fosse riuscito a mettere insieme una specie di poema audiovisivo sul tempo, l’amore e la morte senza trasformarlo in una installazione museale o in un predicozzo misticheggiante. Quel film si chiamava A Ghost Story e, in termini stilistici, diceva tutto quello che si poteva dire del suo autore: romantico – secondo una sfumatura vagamente hipster -, ambizioso e refrattario al discorso retorico.

Un anno dopo Lowery firma il film d’addio di Robert Redford e deve inevitabilmente adattare la propria sensibilità all’importanza dell’occasione e del personaggio. Con lui tra l’altro Redford aveva già lavorato in Il drago invisibile, e si intuisce sia stato il divo a nominarlo maestro di cerimonia.

The Old Man & The Gun lavora sulla mitologia redfordiana cercando il baricentro di un immaginario costruito in sessant’anni di mestiere. Sarebbe un thriller, ma il protagonista è un bandito gentile, un rapinatore di banche che ha le cautele di un commesso viaggiatore e l’eleganza di un ballerino. In sostanza del thriller ci sono le premesse ma mai la pratica, che invece è quasi da rom-com, a volte da western urbano.

Poi metteteci che siamo nel 1981, la fotografia si adegua – come le auto e i costumi -, e ne esce una specie di eterno presente cinematografico in cui Redford (che continua miracolosamente a dimostrare un’età indefinibile sopra i 60) è già stato il Sundance Kid e Johnny Hooker, ma in definitiva ha trovato se stesso nei panni di Sonny Steele, il cavaliere elettrico.

The Old Man & The Gun è questo, una passerella di false memorie: cassieri che si fanno rapinare volentieri, detective che non ci tengono particolarmente a risolvere il caso, vedove innamorate che perdonano tutto, figli perduti che non serbano rancore. È come se fosse il cinema stesso, attraverso lo svuotamento dei generi e la sovversione delle regole, a dare il congedo al divo.

E così, in attesa di scoprire come sarà l’addio di Eastwood nell’imminente The Mule, torna in mente quello simmetrico e opposto di Paul Newman in Era mio padre, così disperatamente cupo: “This is the life we chose, the life we lead. And there is only one guarantee: none of us will see Heaven”.
Redford e Newman, fino alla fine, ai lati diversi della stessa medaglia.

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