Non fatevi ingannare dalla confezione patinata, dall’effetto nostalgia dei Seventies, The Post di Steven Spielberg è a tutti gli effetti un instant movie, per girare il quale il regista ha sconvolto tutti i suoi programmi e fatto salire in fretta e furia in sella al progetto Meryl Streep e Tom Hanks, per trattare il tema della libertà di stampa all’indomani dell’insediamento di Trump e prendere di petto il tema caldo della questione femminile.
È il 1971 quando uno dei giovani talenti del Pentagono, Daniel Ellsberg, profondamente turbato dalle tragiche conseguenze della guerra in Vietnam, decide di trafugare quelli che passarono alla storia come i Pentagon Papers. Si trattava di uno studio promosso dall’allora ministro degli esteri McNamara che radunava 30 anni di segreti e bugie raccontati da quattro amministrazioni statunitensi sulla guerra in Vietnam. 7.000 pagine di scottanti rivelazioni che Ellsberg consegnò dapprima al New York Times – testata che ricevette in piena epoca Nixon da parte della corte suprema l’ingiunzione di non pubblicarle -, per poi passarle al Washington Post, alla cui guida allora c’era un editore donna – Katharine Graham (Meryl Streep) – che aveva appena quotato in Borsa il giornale.
The Post, sebbene il film rievochi moltissimo Tutti gli uomini del presidente per ambientazione e atmosfere, non è come si potrebbe pensare la ricostruzione di un’inchiesta giornalistica, ma la storia della soffertissima decisione della Graham se pubblicare o meno i documenti “pregiudicati”, rischiando il fallimento della casa editrice, i posti di lavoro dei reporter e la prigione.
Spielberg conferma la passione e il coraggio con cui affronta tematiche controverse e calde. Un fervore governato da una forma impeccabile, specie nell’esposizione dettagliata di tutto il processo decisionale, editoriale e tecnico che precede la pubblicazione di un quotidiano e di una Prima pagina.
Ed è straordinario come riesca a tenere tutto insieme: offrendoci la sua dichiarazione d’amore al giornalismo – con tanto di immersione nell’odore d’inchiostro delle rotative e dei caratteri mobili e nelle accalorate discussioni di redazioni fumose e isteriche -; facendoci respirare il dramma di una donna sola al potere circondata da uomini che non rispettano la sua autorità e cercano solo di confonderla; infine, ricostruendo una fetta importante di Storia.
Ed è straordinario come riesca a tenere tutti insieme: guidando da maestro d’orchestra un cast corale nutrito, che va dal più umile galoppino di redazione a Nixon, e all’interno del quale si illuminano di luce propria una Streep piena di sfumature emotive e un energico Hanks.
L’obiettivo dichiarato di questo film bello e urgente del grande maestro hollywoodiano è risvegliare le coscienze sopite, rievocando quella stagione straordinaria in cui il Washington Post guidato da una donna riuscì non solo a far rispettare il primo emendamento, ottenendo dalla corte suprema la sentenza favorevole che riconosceva la stampa come “strumento per i governati e non i governanti”, ma compiendo anche il primo passo per la destituzione di Nixon, che sarebbe avvenuta qualche anno dopo a causa dello scandalo Watergate, fatto emergere dallo stesso quotidiano. Mai come ora vi era urgenza di un film come questo, in presenza di un presidente che bolla tutta l’informazione come “fake news” e denigra le donne invece che sostenerle nel loro slancio di emancipazione a seguito dello scandalo Weinstein.
The Post è un film classico e retorico nell’accezione più positiva dei due termini. Una lezione profonda di etica, giornalismo e cinema travestito da film “in costume”, ma mai così attuale.
Mi piace: la straordinaria capacità di Spielberg di offrire una grande lezione etica attraverso una cura formale impeccabile. Streep ed Hanks confermano per l’ennesima volta di essere i migliori in campo.
Non mi piace: difficile trovargli un difetto.
Consigliato a chi: a chi ha nostalgia di un’informazione libera e al pubblico giovane a cui far vivere una stagione straordinaria per il giornalismo d’inchiesta.
VOTO: 4/5
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