The Rum Diary - Cronache di una passione: la recensione di Gabriele Ferrari
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The Rum Diary – Cronache di una passione: la recensione di Gabriele Ferrari

The Rum Diary – Cronache di una passione: la recensione di Gabriele Ferrari

Quando non è impegnato sul set di un film di Tim Burton, Johnny Depp ama coltivare la sua seconda – e forse più sincera – passione: tutto ciò che è collegato a Hunter S. Thompson, giornalista e scrittore americano scomparso nel 2005, l’uomo che raccontò la morte del sogno americano degli anni Sessanta e fece della dedizione ad alcool, droghe e divertimento irresponsabile una ragione di vita. Depp e Thompson erano grandi amici, e l’attore ne omaggiò la figura già nel 1998 nell’ormai mitico Paura e delirio a Las Vegas. Ma Thompson non è solo quel film (e quel libro): scrittore prolifico ma sottovalutato, le sue opere conobbero una rivalutazione proprio sull’onda del successo del film di Gilliam; The Rum Diary è l’esempio più clamoroso: scritto nel 1969, venne pubblicato solo nel 1998, quando Thompson era ormai completamente rovinato dall’alcool e incapace di donare una forma definitiva e accettabile alla sua opera.

Quanto detto sopra si può applicare anche a The Rum Diary – Cronache di una passione, trasposizione cinematografica fortemente voluta dallo stesso Depp del romanzo di Thompson, nonché ottima scusa per Johnny per tornare a indossare occhiali a specchio e camicia hawaiiana e comportarsi come un ventenne irresponsabile e costantemente intossicato dall’alcool. Certo, in questo caso il nome del suo personaggio non è più Raoul Duke ma Paul Kemp, ma a parte le questioni di anagrafe non c’è dubbio che Depp stia rimettendo in scena la sua versione di Thompson, questa volta trascinato dai suoi eccessi fino a una Porto Rico che oscilla tra i colori dell’isola caraibica e la sporcizia e lo squallore del terzo mondo. Kemp è un giornalista in disgrazia, ingaggiato da un decadente quotidiano locale per scrivere di oroscopi e altre facezie. Il mondo dei cronisti, secondo Thompson, è sempre stato corrotto, egoista e dedito principalmente al divertimento: in ossequio a questa visione, Kemp spende gran parte del film a ubriacarsi, prendere acidi e farsi scarrozzare per le strade di San Juan insieme ai colleghi Sala (Michael Rispoli) e Moberg (un Giovanni Ribisi trasfigurato dagli eccessi e quasi irriconoscibile). In mezzo c’è spazio anche per un po’ di critica sociale all’acqua di rose – che coinvolge Sanderson, imprenditore corrotto con la faccia di Aaron Eckhart – e una romance semi-clandestina tra Kemp e la fidanzata di Sanderson, Chenault, che ha volto e movenze di una Amber Heard in versione pantera sexy, tutta rossetto rosso fuoco e sguardi ammiccanti.

Il problema principale di The Rum Diary è che spiegato così potrebbe anche funzionare: è gonzo journalism allo stato puro, ovvero un racconto soggettivo, privo di filtri stilistici e spesso annebbiato dagli stupefacenti di quel che accade al cronista (qui in versione “da trasferta”). Ma dove il film di Gilliam beneficiava di una regia visionaria e ricca di invenzioni, The Rum Diary si accontenta di svolgere il proprio compito con svogliatezza – forse il regista Bruce Robinson, ex alcolista di recente uscito dal rehab e qui succube della volontà creativa di Depp, non era la scelta migliore. Di là c’erano dialoghi fulminanti e il tentativo di dire qualcosa di importante, che culminava nel monologo di Depp in una stanza di motel devastata; qui abbiamo qualche battuta divertente e poco più, nulla che sia destinato a lasciare il segno. Dove Paura e delirio aveva una storia, uno sviluppo, una conclusione, The Rum Diary è poco più che una collezione di vignette. Persino gli eccessi sono educati: simbolico è il combattimento tra galli a cui Kemp e Sala decidono di assistere, girato in modo da non mostrare mai i volatili combattere per paura di offendere le associazioni animaliste. Una scelta sensibile e perfettamente adatta al 2012, ma che a modo spiega, meglio di mille parole, perché The Rum Diary, nonostante tutto l’affetto per Thompson che Depp trasuda da ogni inquadratura, sia fondamentalmente un film innocuo. In sostanza, l’opposto di quello che sarebbe dovuto essere.

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Mi piace
Un Johnny Depp finalmente lontano dalla macchietta degli ultimi anni, e che interpreta con vera passione l’alter ego dell’amico Thompson. I colori e i suoni di Porto Rico tengono viva l’attenzione nei momenti più noiosi (e sono tanti).

Non mi piace
L’assenza di una struttura narrativa. La sensazione di assistere a un’opera incompleta come il romanzo da cui è tratta.

Consigliato a chi
Ama Hunter Thompson, o a chi ha nostalgia del Depp pre-cura Burton.

Voto: 2/5.

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