The Tree of Life: la recensione di Luca Ferrari
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The Tree of Life: la recensione di Luca Ferrari

The Tree of Life: la recensione di Luca Ferrari

Odissea 2011 nell’impalpabile traslato. Metafore. Flashback. Astrazione. Flashback. Metafore e ancora metafore. Se qualcuno fosse entrato al cinema cinque minuti dopo l’inizio di “The tree of life” (2011, di Terrence Malick), non pensi di aver sbagliato sala o che si tratti di un documentario di Piero Angela. È tutto giusto. Il film, quest’anno trionfatore a Cannes con la Palma d’Oro, è un lento addentrarsi in un rigido mondo familiare senza vie d’uscita, con l’indefinito fin troppo esasperato a prendere il posto del palpabile e carnale. Con ruoli definiti e impermeabili. Un “homus” opprimente (Brad Pitt) che non vuole essere chiamato dai figli papà, ma padre o signore. Una moglie (Jessica Chastain) al limite del candido dai connotati diafani molto concessiva e succube del marito. E i tre bambini angosciati da qualsiasi esternazione del padre. Minuto dopo minuto, con il tempo che trascorre sempre più lentamente, le maniglie del passato, che rivive nei flashback del primogenito cresciuto (Sean Penn), avvolgono ogni cosa. Senza speranza. Con il futuro relegato a un ruolo marginale nella vita di ciascuno. E quando si prova a cambiare le cose, come fa il figlioletto biondo osando dire “stai zitto” a suo padre, non c’è onore né gloria nel coraggio. L’albero della vita Malickiano è un’Odissea 2011 sulla terra dove l’avidità del mondo è la prima conseguenza dell’inespressiva rigidità umana, e non un nemico indomabile. In “The tree of life” l’uomo vuole insegnare ai futuri uomini che fantomatici Mr X faranno di tutto per tenerli sempre in pugno, per cui tanto vale colpire fin da subito; un mondo dove la paura è un sentimento superfluo. Una visione limitata. Limitante. Un trampolino a cui il regista toglie l’ignoto per mettere una pesante e gravosa continuazione già iscritta nel sangue lapideo di chi è venuto prima. Onore a Brad Pitt, che una volta di più ha dimostrato la versatilità del proprio essere attore. Discorso opposto per Sean Penn, ancora incatenato nel proprio albero personale di ruoli drammatici. Terrence Malick ci dice che l’albero della vita è un mondo malsano da cui non è possibile staccarsi e ricominciare. E che si ripercuote sul proprio futuro, soprattutto per i suoi effetti negativi. È davvero così impossibile lasciarsi alle spalle qualcosa? È davvero così opprimente il proprio passato? Chi vi dirà di no, ha già perduto la sua partita. Chi vi dirà di si, non si è guardato abbastanza dentro. La risposta, per fortuna, è diversa per ciascuno di noi. La risposta, per fortuna, è solo una nostra scelta.

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