The Visit: la recensione di Andrea Diatribe
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The Visit: la recensione di Andrea Diatribe

The Visit: la recensione di Andrea Diatribe

“The Visit” è il nuovo gioiellino diretto e scritto da M. Night Shyamalan, regista americano di origine indiana diventato famoso nel 1999 grazie a “The Sixth Sense – Il sesto senso”, che contiene forse uno dei colpi di scena più potenti dell’intera storia del cinema. Dopo gli ultimi flop che sembravano aver sancito la definitiva caduta del regista, ovvero “L’ultimo dominatore dell’aria” e “After Earth – Dopo la fine del mondo”, arriva invece con questo film una svolta: Shyamalan cesella molto bene un horror che mette in scena la quotidianità, a basso budget (5 milioni di dollari) e che gli permette, seguendo il filone degli ultimi anni del found footage e del mockumentary, una narrazione più libera da restrizioni di genere, anche se contiene comunque alcuni cliché.
Becca e Tyler Jamison sono due fratelli rispettivamente di 15 e 12 anni – interpretati dai due giovani attori Olivia DeJonge e Ed Oxenbould, entrambi australiani – che vanno a trovare i loro nonni materni per la prima volta, non avendo mai avuto l’occasione a seguito di scontri che avevano rotto ogni rapporto con la loro figlia. Becca, la più grande dei due fratelli, ama profondamente il cinema e ha delle aspirazioni da regista, e decide così di documentare la settimana di soggiorno a casa dei nonni in Pennsylvania. Quella che sembra una semplice visita si tramuterà invece in una vicenda famigliare tutt’altro che rasserenante.
Shyamalan dirige un film utilizzando l’espediente del found footage, con la macchina a mano che viene data ai due protagonisti del film – facendo così coincidere lo sguardo dello spettatore con le riprese del documentario effettuate dai ragazzi – costruendo perciò inquadrature giocate su due soli punti di vista: uno della telecamera della regista Becca, e uno secondario, dato dal suo assistente di ripresa, Tyler. Già questo è un elemento originale che fa intervenire così un montaggio alternato e uno fatto di campi e controcampi che spostano la visione da una cinepresa all’altra; montaggio alternato che in almeno due sequenze incalza enormemente la tensione. Ma la cosa che stupisce ancora di più e che funziona straordinariamente bene è il perfetto connubio tra horror e comicità che percorre tutte le sequenze del film (eccetto la penultima in cui la tensione impenna velocemente e raggiunge il massimo apice), sicuramente enfatizzata dalle sessioni rap di Tyler. Comicità che inizialmente stempera un po’ i toni inquietanti della vicenda. Si ride, ed insieme si ha paura.
È un film diretto, realistico ed essenziale: è senza effetti speciali e computer grafica, girato in pochissimi ambienti (soprattutto la casa dei nonni e dintorni), composto da un piccolo gruppo di personaggi – i due ragazzi, la loro madre, i due nonni e un paio di altri secondari – ed è assente la colonna sonora, tranne che nell’epilogo in cui riempie totalmente la scena. E per di più, essendo una sorta di riproposizione contemporanea 2.0 della favola di Hansel e Gretel, c’è anche una morale piuttosto chiara in una delle scene chiave che permette una svolta nella vicenda: per non soccombere dobbiamo guardarci allo specchio e vincere le nostre paure, magari anche ferendoci o facendoci ferire ma più consapevoli di prima delle nostre capacità.
Sicuramente alla bravura dei due giovani attori protagonisti, si assiste anche alla recitazione inquieta e tenebrosa dei due nonni: una Deanna Dunagan non tanto conosciuta ma attrice di esperienza, che regala tantissime espressioni diverse che rasentano insieme il ridicolo e il disturbante, e un Peter McRobbie altrettanto bravo.
È un succoso ritorno di Shyamalan che porta un’altra volta il suo marchio di fabbrica: un colpo di scena, tanto semplice quanto dirompente, che sconvolge nuovamente lo spettatore.

Voto: 4/5

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