The Way Back: la recensione di Silvia Urban
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The Way Back: la recensione di Silvia Urban

The Way Back: la recensione di Silvia Urban

La prima domanda che viene in mente subito dopo aver visto The Way Back è come sia possibile che la distribuzione italiana abbia aspettato due anni per far uscire in sala questo film. Perché quella di Peter Weir è una pellicola potentissima, capace di toccare corde emotive profonde e potenzialmente riutilizzabile in altri contesti, come le scuole, quale efficace strumento educativo.
La fuga da un gulag siberiano di otto prigionieri – ispirata a una vicenda realmente accaduta e narrata da Slavomir Rawicz nel libro Tra noi e la libertà – si rivela, infatti, un’epica storia di sopravvivenza, solidarietà e inarrestabile spirito umano.

Siamo in Siberia, nell’anno 1940. Un giovane tenente dell’esercito polacco (Janusz/Jim Sturgess), accusato di spionaggio e condannato a 25 anni di lavori forzati, decide di evadere. A lui si uniscono un taciturno ingegnere americano (Mr. Smith/Ed Harris), un attore russo (Khabarov/Mark Strong), un criminale (Valka/Colin Farrell), un giovane polacco che soffre di cecità notturna (Kazik), un sacerdote lettone (Voss), un contabile jugoslavo dotato di un cinico senso dello humour (Zoran) e un ragazzo (Tomasz) che si è guadagnato un certo status all’interno del gulag grazie al suo talento artistico.

Risolti in poco meno di mezz’ora il racconto della vita all’interno del campo di lavoro sovietico, la presentazione di Janusz e il suo incontro con coloro che poi andranno a formare il gruppo di evasi, il resto della pellicola segue la loro fuga verso la libertà (dalla Siberia all’India: quasi 10.000 km percorsi a piedi) e fotografa le loro vite appese a un filo, che fame, sete, gelo, malattie e sfinimento continuamente rischiano di spezzare. Nel frattempo delinea i contorni di ciascuno, ne chiarisce la personalità e ricostruisce il loro passato.
Ai momenti di dialogo e scoperta dei personaggi si alternano lunghi silenzi che coincidono con campi lunghi in cui a dominare è il paesaggio, con il suo fascino (vedi il lago Baikal) ma anche le sue insidie (come il gelo della Siberia e l’aridità del deserto dei Gobi). E proprio laddove le condizioni si fanno ancor più estreme si staglia con maggior nitidezza la forza dell’uomo. Lo spirito di sopravvivenza che solo gli affetti (il ricordo di un figlio o la speranza di potersi ricongiungere alla moglie) sono capaci di continuare ad alimentare. La paura della morte che costringe a mettere in discussione atteggiamenti e posizioni. La fiducia in se stessi che non basta se non si impara a sviluppare anche un forte senso di solidarietà. L’importanza della condivisione (incarnata nel film dalla figura di Irene/Saoirse Ronan, giovane orfana che si unisce ai fuggiaschi a metà del viaggio) e la ricchezza che nasce dall’unione. L’umanità che pur di fronte all’urgenza dei bisogni primari mai cede alla tentazione del cannibalismo. La capacità di sdrammatizzare e ridere anche nelle situazioni più dolorose. La rivendicazione della libertà quale diritto fondamentale e la conseguente condanna degli orrori e dei crimini dello stalinismo e di qualsiasi forma di autoritarismo.

La materia umana di cui è intessuto questo film è talmente densa e toccante che non c’è tempo per annoiarsi, nonostante le oltre due ore di viaggio. E l’incipit un po’ troppo frettoloso che non aiuta a mettere a fuoco fin da subito i personaggi non frena l’empatia che si crea in seguito. Purtroppo non c’è nemmeno tempo per approfondire il quadro storico. Non è quello che interessa a Peter Weir, a cui va comunque il merito di essere riuscito a gettare luce su questa pagina di storia ancora poco conosciuta e di esserne servito per celebrare l’uomo e la sua libertà. In un film molto pulito ed elegante, che nelle sue riprese on the road  sembra quasi a un documentario (non a caso, nei titoli di testa, compare il brand National Geographic Entertainment).

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
La celebrazione della vita e della ricchezza spirituale dell’uomo

Non mi piace
L’incipit troppo frettoloso e caotico che non aiuta a inquadrare fin da subito i protagonisti e ad approfondire il quadro storico

Consigliato a chi
Nutre un forte spirito avventuroso e ai fan del cinema di Peter Weir

Voto
4/5

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