The Wolf of Wall Street: la recensione di The_Diaz_Tribe
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The Wolf of Wall Street: la recensione di The_Diaz_Tribe

The Wolf of Wall Street: la recensione di The_Diaz_Tribe

Quinta prova del duo Martin Scorsese alla regia e Leonardo DiCaprio che interpreta uno sfrenato broker cocainomane e sessualmente incontenibile che da telefonista alla LF Rothschild diventa milionario – dissacrando ogni etica di vendita alla Borsa di New York – con la fondazione della Stratton Oakmont, società di brokeraggio. L’uomo portato sul grande schermo da Scorsese in The Wolf of Wall Street è Jordan Belfort, intelligente, aggressivo ma moralmente discutibile broker che ha scritto un’autobiografia omonima al titolo del film. Per una gigantesca frode finanziaria e riciclaggio di denaro, nel 1998 fu arrestato dall’FBI (con cui collaborò all’arresto dei complici), scontando 22 mesi di carcere federale e risarcendo gli azionisti per circa 110 milioni di dollari.
Dopo l’ultima interpretazione aristocratica ne Il grande Gatsby, DiCaprio offre una performance attoriale senza freni inibitori, aggressiva, politicamente scorretta, a tratti feroce e nevrotica, di un venditore eccezionale, organizzatore di party dispendiosi, dedito alla lussuria e alla cocaina mischiata a narcotici, subdolo ma capace di vendere l’invendibile e alimentare la sua compagnia di brokeraggio con l’imperiosità dei suoi smaniosi discorsi, plasmando così corpo e mente dei suoi colleghi truffaldini. Donnie Azoff, interpretato da Jonah Hill (al di fuori del suo solito ruolo comico), è la degna e ridicola spalla di Belfort – in una scena è anche infame e si vede proprio bene –, insieme agli altri influenti colleghi che lo circondano durante l’ascesa finanziaria che vede il suo picco verso la metà della pellicola. La sicurezza della compagnia di Belfort inizia a essere minacciata quando l’agente dell’FBI Patrick Denham (Kyle Chandler) comincia a indagare sull’attività della Stratton, tentando di frantumare l’impero del narcisismo speculativo.
Ciclicamente in questo film, con scene esplicite di sesso, droga e turpiloquio filtrate solamente dalla macchina da presa, Scorsese propone un ritratto della violenza animalesca e della dissolutezza utilitaristica dell’animo umano, con tutte le sue sagaci quanto sardoniche espressioni, collocato in una cornice di disprezzo totale di qualunque morale.
Detto questo The Wolf of Wall Street può essere apparentemente immorale, ma è solo una parvenza: c’è un’esorcizzazione grottesca e costante del male, incarnata nella pellicola spudorata ed eccessiva su ogni fronte, anche sulla durata, di circa 3 ore. Bisogna però riuscire a leggere tra le righe questo esorcismo demistificatorio per non rischiare di arrivare al termine della visione con un senso di puro vuoto, come se le continue scene di sesso, droga e inganni fossero fini a loro stesse.
Menzione a parte merita Matthew McConaughey che, seppure presente solo all’inizio, interpreta Mark Hanna, un professionista fraudolento che inizia Jordan Belfort al brokeraggio spietato.
È un film che mostra, raccontando l’ascesa, il declino e successiva ripresa di un “profeta” della finanza, interpretato da un DiCaprio con toni malignamente spettacolari e sfrontati, che riceve una quinta nomination agli Oscar, e si spera, finalmente, in una vittoria.
Adesso il vero Jordan Belfort, uscito dal carcere, tiene seminari in giro per il mondo sulle strategie di vendita.

Voto: 4/5

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