Folgori di un platinato Dio del Tuono
Un martello boomerang, il Mjolnir, un corpo taurino dallo steroide pulsante ed energ(et)ico, un regno astrale nei fantasyosi fulgori visivi. In mezzo il deserto della polverosa, western Hicksville, nel “Mondo” di confine ove Thor sarà confinato nel suo esilio.
Un padre edipico che appare in rinomata lucenza delle sue eleganze ieratiche, che dissolve i suoi dolori in sonni vicini alla morte in trasparenti bare in cui le lagrime sfiorano l’età delle rughe. Un figlio che si balocca della sua superbia e sarà “punito” per emendarsene, così come il nostro Dio ripudiò l’angelo prescelto diseredandolo. Qui, Odino, ne impartì lezioni, la sua è un’educazione che fa del castigo l’insegnamento.
Asgard e i ciclopici uomini di ghiaccio in rivali battaglie e una tacita alleanza che sacrifica anche “minuti” figli innocenti. Ove le verità mascherate per pudore alla sofferenza, aprono gli occhi squarciate nell’anima dal “nudo” che si svela. L’intrigo di una cospirazione tra (non) fratelli di sangue…
Una regina altezzosa di fulva fatalità, chinata ai suoi padroni, tacendo l’orgogliosa voce di donna che potrebbe ferirli, materna nel suo carezzevole abbraccio al potente Re e consorte, un barbuto Hopkins dagli occhi vitrei e dai mai scarmigliati capelli argentei, profeta del suo imperioso eloquio.
E la Terra, purgatorio di chi sfregiò il proprio diritto dinastico con l’irruente incoscienza da infante presuntuoso.
Branagh si “congeda” momentaneamente dal Bardo, e dopo i fasti teatrali, scende, mirabilmente, anch’egli sulla Terra, “chinato” alla logica di un fumettone poco “amato” della Marvel. Stan Lee occhieggia furbo, con malandrina scaltrezza da leggendario ideatore di eroi superomisti, qui anche mistici.
Un titano germanico, di possenza invincibile, abbigliato come un guerriero futurista, nel rosso mantello di fulgido, vanesio, purpureo carisma.
“Thor” è questo, la ludica mitologia che, sghemba, “dorme” per infuocarsi nel dormiente Mondo degli umani, e un altro universo parallelo, cinetico, barocco e fastoso, ove si combatte come crociati nella religiosità pagana delle effigi per cui “scolpirsi”.
Immortali leggende che imparano ad amare, e nell’anima di quelle lambite fragilità, salderanno il Cuore a virtuose prodezze per ambir al trono.
La notte di una landa desolata “divelta” da lampi nel buio, una spirale avvolgente, e un biondo uomo muscoloso dalla portentosa voce, nelle “schegge” di una foschia, nelle madide ombre dell’eterno Tempo che bacerà anche una ragazza dalle timide gote, arrossita nella sua acerba giocondità, nella speranza dei suoi ambiziosi sogni universitari.
Robot “comandati” dal pensiero dietro tetre palpebre di vivi inganni, le mansuete cordate fra avventurieri del loro Destino, “lacerati” per impugnare un nuovo trionfo, l’alba della propria identità sfuggita che, fugace, si offuscò. Rubata della sua essenza, nella meraviglia di un virginale coraggio d’anima pura.
Tremolii di complotti orditi con velenosa mestizia, e vendette che non (ci) sono fra “figli” dello stesso Padre.
Un magnifico Chris Hemsworth, nell’armatura metallica del suo esser per tutti noi un “gran fico”.
Grande film.
(Stefano Falotico)
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