Scacco matto agli sciacalli. La rivincita dei truffati, impiegati “sostituibili”, contro l’opulenta avidità di chi arraffa e sottrae ogni cosa. In tempo di proteste di quasi tutti gli strati sociali, “Tower Heist” (2011, di Brett Rattner) regala un po’ di speranza alle centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso tutto per colpa degli squali della finanza, senza che lo Stato sia mai stato capace di tutelare chi paga veramente le tasse. Una rivincita “operaia” dal finale un po’ troppo smielato (dorato).
Nell’era moderna, quelli che cercano il riscatto sono gli uomini ordinari, come lo sconsolato Chase Fitzhugh (un ingrassato Matthew Broderick), fallito agente di borsa senza più nulla, costretto a raccontare ai propri figlioletti di fare il campeggio in casa perché la banca gli ha pignorato anche i mobili. O il portiere Lester (Stephen Henderson), prossimo alla pensione, che arriva a tentare il suicidio dopo aver scoperto che non rivedrà più i contributi di più di trent’anni di onesto lavoro, soldi che aveva affidato al potente uomo di Wall Street, Artur Shaw (Alan Alda), titolare dell’attico nel palazzo dove lavora. Drammi. Tragedie universali di persone anziane e giovani che dovranno ricominciare da zero, come la granitica cameriera Odessa (Gabourey Sidibe) o Rick (Michael Peña), presunto esperto elettronico che passa da un lavoro a Burger King ad altri impieghi senza futuro. Anime disperate nella giungla metropolitana che trovano in Josh Kovacs (Ben Stiller), frodato anch’esso, il Robin Hood newyorkese, deciso ad assoldare il pseudo-criminale Slide (un ritrovato Eddie Murphy) per derubare chi li ha derubati, in una forma di “giustizia fai da te”, dove la Legge è un’istituzione fallita che sa solo applicare senza rendersi conto di quello che sta succedendo. Ovunque guardiamo fuori dal Grande Schermo, la massa non è mai sufficientemente protetta e per questo arriva a commettere azioni ardite anche al di fuori della legalità. Bisogna aprire gli occhi. Nella vita reale, salvo rarissime eccezioni, gli Artur Shaw non finiscono mai in galera. Brindano al loro successo, e anzi fanno causa ai solitari Josh Kovacs, abbandonati nella loro battaglia di sopravvivenza. Kovacs, Kovacs. Forse il regista ha voluto omaggiare il sindacalista Johnny Kovac interpretato da Sylvester Stallone in “F.I.S.T.” (1978), ispirato alla vera storia di Jimmy Hoffa (1913-1975)? Potrebbe essere. Entrambi dopo tutto lottavano contro l’ingiustizia e sono finiti dietro le sbarre. Restando in tema di protagonisti, anche in “Tower Heist” Ben Stiller è un po’ sempre lui. Impacciato e alla ricerca del ruggito. Qualcosa di visto e stravisto un’infinità di volte. Da “Tutti pazzi per Mary”, passando per la triplice saga familiare con Robert De Niro, a “…e alla fine arriva Polly” e “Lo Spaccauori”, solo per citare alcuni dei più famosi. Fantastica invece Téa Leoni, nella parte della tosta agente dell’FBI Gertie Fiansen, ma deliziosamente “umana” quando si ubriaca al bar con Kovacs, entrando nei dettagli delle proprie conquiste alcolico-amorose nei confronti di un pompiere.
Consiglio spassionato al mondo del cinema italiano. Decidetevi: o lasciate i film in lingua originale e mettete i sottotitoli, o evitate di cambiare doppiatori a ogni nuova produzione. Risparmiato Ben Stiller, ogni volta che si sentiva parlare Casey Affleck, con la voce di Alessandro Quarta, pareva di rivedere J.D. (Zach Braff) nel telefilm “Scrubs” (2001-2010).
© RIPRODUZIONE RISERVATA