Cos’è la vita? L’armonia tra i cinque elementi. Cos’è la morte? Il disordine tra essi.
Presentato durante la 68esima edizione del Festival Cannes nella sezione Un Certain Regard, Tra la terra e il cielo (titolo originale Masaan) è il debutto alla regia di un lungometraggio dell’indiano Neeraj Ghaywan. Il film è stato vincitore del Premio FIPRESCI della critica internazionale e una menzione speciale come opera prima.
Il giovane regista, affacciatosi al mondo del cinema dopo un periodo nel marketing, cerca di raccontare una storia di ineguaglianze, sociali e di genere, in un’India contemporanea che fatica a rimanere al passo con il resto del mondo, constatando come la realtà indiana del giorno d’oggi sia ancora fortemente influenzata delle caste e viva ancora una disuguaglianza sociale che in teoria dovrebbe essere superata.
Ambientato a Varanasi, la città sacra attraversata dal Gange, il film racconta la vicenda di un gruppo di personaggi che per ragioni diverse subiscono le contraddizioni di un paese ancora incapace a superare i condizionamenti di un sistema di organizzazione sociale legato al passato
Le due storie narrate si inseguono fino a intrecciarsi magicamente: quella di Devi, giovane donna insofferente dei limiti di una città rigidamente dominata dai culti e cerimoniali religiosi e da una mentalità tradizionale. E poi c’è Deepak, studente di ingegneria, che s’innamora perdutamente di una ragazza di casta superiore.
Protagonisti del film la perdita e il dolore che ne consegue, perché delle volte il destino è ancora più potente delle regole. L’unica loro salvezza? Il fatto di appartenere ad una generazione figlia della globalizzazione, anticonformista e consapevole delle proprie possibilità.
L’opera prima di Neeraj Ghaywan cerca quindi di andare controcorrente e di farsi cavaliere di un cinema indipendente attraverso gli occhi e le emozioni dei protagonisti. Un cinema che cerca di allontanarsi in tutto, nei tempi, nei modi e nei colori, dall’ormai stereotipata industria bollywoodiana (non a caso il film è prodotto a metà tra l’India e la Francia).
In fondo Masaan, come afferma lo stesso regista, «è una sorta di storia iniziatica, nella quale il dolore e la morte, che toccano tutti i personaggi, possono trasformarsi in qualcosa di positivo e non necessariamente condurre alla disperazione assoluta. D’altronde Benares è conosciuta come ‘la città della morte’ e si dice che, chi muore laggiù, troverà la salvezza».
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Mi piace: L’intreccio narrativo che guida i personaggi verso la crescita e l’assoluzione.
Non mi piace: La prevedibilità di alcuni momenti.
Consigliato a chi: È incuriosito dall’India e ama le storie emozionanti e i tramonti mozzafiato.
Voto: 3/5
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