Il rovescio della medaglia dei registi debuttanti è sempre quello del vorrei ma non riesco. La ricerca della perfetta alchimia tra cinema di qualità e innovazione sconfina spesso nel binario morto della superficialità, lasciando perplessi i poveri spettatori speranzosi. Wally Pfister è il debuttante in questione, presenta il suo primo lavoro, “Transcendence”, dopo una carriera eccellente da direttore della fotografia culminata con l’Oscar nel 2011 per Inception.
Idee ambiziose, il progetto nella testa c’è ma uscire a testa alta dal genere fantascienza non è mai semplice. Spesso non basta nemmeno un cast stellare se la storia non funziona. Ci vuole il tocco di classe che pochi astri come Lucas, Spielberg e Scott (solo per citarne alcuni) hanno saputo dare. Nel caso di Transcendence le aspettative sono sicuramente meno alte e poi suvvia, da qualche parte bisogna comunque iniziare.
Brilla il nome di Johnny Deep nella locandina del film, Pfister può già contare su un talento puro nel dare volto a Will Caster, scienziato ricercatore nel campo delle intelligenze artificiali in procinto di consegnare al mondo una macchina capace di comprendere e assimilare le emozioni umane. Ma il suo assassinio da parte di terroristi anti-tecnologi costringe la collega e moglie Evelyn (Rebecca Hall) a caricarne il contenuto del cervello in un computer per poter portare avanti gli studi.
La “sfortuna” di Pfister passa per il fantasma di Her di Spike Jonze che appena qualche settimana fa ha toccato l’argomento in questione a colpi di fioretto. Certo, film estremamente diversi ma il tatto con il quale porsi di fronte al concetto avverinistico pende da una parte sola. Il film di Pfister gioca indiscutibilmente sul lato commerciale del cinema, ergo la componente attrattiva deve risultare d’impatto immediato.
Ne esce invece un film piatto, banale e dal ritmo eccessivamente blando. La scelta di badare più a dare profondità alla sceneggiatura rispetto all’azione paga la superficialità con la quale viene affrontata. La collocazione oscilla tra il thriller e lo sci-fi, riuscendo a compiere un piccolo sforzo solo nella seconda parte quando una doverosa accelerata offre un minimo di linfa alla storia. Il valzer tra scienza, filosofia e religione scricchiola sullo sfondo, il contrasto militare tra l’IA e le forze dell’ordine rendono il tutto elementare e scolastico facendo perdere del tutto la strada intrapresa ad inizio spettacolo. Gli attori, e il cast è davvero interessante, sono trasparenti e incolori. Rebecca Hall è ancora in cerca di un’identità, Depp è frenato dal trovarsi ad essere per oltre metà film un’intelligenza artificiale, e i vari Morgan Freeman, Paul Bettany e Cillian Murphy aleggiano a contorni sprecati.
Tutto da buttare dunque? Assolutamente no, perchè se Wally Pfister è un genio della fotografia quello si vede eccome. Tra gli interni futuristici e gli esterni desertici e periferici lo scenario è piuttosto ben caratterizzato. Se non pretendiamo un film dall’impronta profonda e troppo riflessiva possiamo anche sopportare la prima parte lenta e farci coinvolgere quel tanto che basta per poter arrivare in fondo soddisfatti. Altrimenti voltiamo pagina e aspettiamo la prossima volta.