C’era una volta il Giallo. C’era un tempo in cui, che piaccia o meno, gli italiani erano i cineasti più visionari, innovativi, sprezzanti della scena cinematografica mondiale. Stili pionieristici come l’essenzialità del neorealismo, l’epica dello spaghetti western e non ultima l’estrosità dell’horror venivano visti dall’estero come vere e proprie opere d’arte. Spiegare l’importanza che ha avuto il Giallo italiano nei geni del nuovo cinema moderno sarebbe lungo, ma al di là di innumerevoli omaggi, oggi come oggi sono le strutture e gli stili registici di tanto cinema di genere ad aver acquisito quel sapore.
La matrice prima di quelle opere era l’imprevedibilità, contenutistica e registica, e i tanti omaggi moderni fatti al Giallo hanno cercato di mantenere quel sapore. Pensiamo allo sperimentale Amer di Cattet e Forzani, Masks di Andreas Maschall, Berberian Sound Studio di Peter Strickland, e, restando in Italia, sicuramente Tulpa di Federico Zampaglione.
L’atmosfera oppiacea di Shadow, la sua opera precedente, restituiva già molto dei miasmi ammorbanti delle atmosfere argentiane. Nel suo nuovo film, Zampaglione riprende il genere e lo reinventa in maniera moderna, guardando a Martino e Argento, ma evitando l’errore di fare un’opera di emulazione. Il substrato sociale in cui si svolge il film è la finanza, quasi ad identificare un ambiente che le cronache ci rivelano malato, dove inevitabilmente si annida un male oscuro. Di questo male si nutrono i personaggi, arricchendo i propri conti in banca, a fronte comunque di una minacciosa crisi, ma inaridendo le proprie anime.
La protagonista, Lisa, una Claudia Gerini che ancora una volta mostra la sua caratura superiore, allevia lo stress della sua vita di donna d’affari attraverso il sesso. Di notte visita il Tulpa, un locale di scambisti con un’aria esoterica (il proprietario è interpretato dall’inquietante Nuot Arquint), dove si incontra occasionalmente con sconosciuti, per una notte di passione usa e getta. Tra questi il bravo Ivan Franek, con il quale si presuppone possa succedere di più. Il più avviene ma è decisamente inaspettato. I suoi amanti muoiono violentemente uno dopo l’altro, e Lisa realizza che a essere in pericolo non è solo la vita di Ivan ma anche la sua, sospettata di essere una mantide omicida.
La struttura di un giallo è sempre stata quella di un rebus. Allo spettatore si danno gli indizi per scoprire il colpevole, ma si cerca di rendere la deduzione più complicata possibile. La bravura sta nel mantenere una struttura narrativa funzionale, nonostante l’intreccio dell’enigma. In questo Tulpa funziona perfettamente. Con uno stile visivo molto vicino a quello di Tenebre e La Coda dello Scorpione, quindi giocando tra i contrasti cromatici di ambienti asettici con altri variopinti, ricrea una spirale che incastra lo spettatore nel mistero. In accordo con la filosofia tibetana che incarna i temi del film, il viaggio della protagonista ha uno scorrimento che ha una morale propria e personale, per nulla ovvia e ipocrita. La costruzione degli omicidi è spettacolare, e a volte veramente disturbante nella sua crudeltà.
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Mi piace
La struttura da rebus, le interpretazioni di Franek e Gerini, l’omaggio genuino e ben riuscito alla tradizione argentiana dal thriller/horror
Non mi piace
I riferimenti sono chiari, e il gusto un po’ retrò dell’operazione potrebbe non piacere a tutti
Consigliato a chi
A chi cerca cinema di genere, ma d’autore, anche in Italia
Voto: 4/5
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