Tuo, Simon
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Tuo, Simon

Una scena corale di Tuo, Simon

Prima ancora di essere un film grazioso e toccante, Tuo, Simon è una rivoluzione.

Delicata e in minore, ma innegabile: quando mai è successo che un’opera mainstream mettesse al centro del suo racconto una storia d’amore tra due adolescenti? Spessissimo, siamo d’accordo; ma quanti di questi adolescenti erano omosessuali? Qui il campo si restringe a vista d’occhio, e per trovare qualcosa di assimilabile a Tuo, Simon bisogna andare a pescare nel cinema indie americano, o uscire dai circuiti produttivi hollywoodiani e volare in Europa. Ecco perché il film di Greg Berlanti – già il nome di uno degli autori di Dawson’s Creek ci ri-colloca in territori decisamente pop – merita attenzione, ideologica prima ancora che critica.

Formalmente è un lavoro molto semplice: tratto dall’omonimo romanzo di Vicky Albertalli, racconta la storia di Simon, adolescente bianco, ricco e figlio di genitori liberali e illuminati, pieno di amici belli e simpatici quanto lui, e nonostante questo profondamente depresso. Simon, infatti (che ha il volto acerbo e distante di Nick Robinson), è gay, e non ha ancora trovato il coraggio di confessarlo a nessuno; un segreto ingombrante che si frappone fra lui e la ricerca del Grande Amore, obiettivo ultimo dell’adolescenza di molti di noi. Ecco dove sta la rivoluzione dolce di Berlanti: per la prima volta in un film queer, al centro dell’attenzione non ci sono questioni di identità e accettazione del sé, ma una più semplice cotta da liceo. L’omosessualità non banalizzata, ma trattata come quotidianità, come condizione naturale dell’essere umano, e difficile da abbracciare più per insicurezza adolescenziale che per fumose questioni morali o sociali.

È quasi un peccato, quindi, che il resto dell’edificio sia uguale a migliaia di altre costruzioni simili che abbiamo visto in altrettante commedie romantiche teen. Più che Ladybird (nome scomodato più volte dalle prime critiche al film) siamo dalle parti di Tredici, la serie Netflix sul suicidio di Hannah Baker che metteva in scena questioni importanti con una semplicità e una naiveté ai confini della stilizzazione: a sbloccare la situazione qui non sono tredici audiocassette ma uno scambio di mail tra Simon e il misterioso Blue, anche lui gay non dichiarato, che diventa prima confidente, poi ideale romance per il protagonista. Il mistero ruota quindi tutto intorno all’identità di Blue, una sorta di whodunit che aleggia sopra una narrazione piuttosto standard fatta di feste, sbronze, litigi e piccole bugie tra amici. Ci sono qui e là momenti ficcanti e caratterizzazioni provocatorie e stimolanti (il preside “supergiovane” di Tony Hale, per dirne uno), ma il tono di Tuo, Simon è quello sognante e devastato dagli ormoni dei film di John Hughes; non quello della denuncia graffiante, come se Berlanti, omosessuale dichiarato, non stesse dirigendo un j’accuse, ma semplicemente il film che da adolescente l’avrebbe fatto innamorare, se fosse esistito.

A elevare Tuo, Simon ci pensano la confezione, e soprattutto i suoi interpreti. Messo in scena, girato e illuminato con la delicatezza di una carezza, è un film tutto di volti e sguardi: rimangono impressi il sorriso sofferente di Leah (Katherine Langford, la stessa del già citato Tredici), che soffre per amore quanto l’amico Simon, l’energia di Abby (Alexandra Shippe), la nuova arrivata nel gruppo, la disperata cattiveria di Martin (Logan Miller), che minaccia il protagonista di rivelare all’intera scuola il suo segreto; il meno ficcante, curiosamente, è proprio il Simon di Nick Robinson, che nello sforzo di essere “tutti noi” finisce per non essere veramente nessuno, un personaggio definito più dalle persone che ha intorno che dalla sua stessa personalità. Un sacrificio necessario sull’altare dell’universalità del racconto, ma che fa perdere un po’ di mordente.

Importa poco anche questo: come già detto, Tuo, Simon non è Ladybird, non è un film di denuncia e non è neanche un’opera d’autore. È comfort food di ottima qualità, scritto e pensato prima di tutto per chi per decenni ne ha dovuto fare a meno, perché era impensabile produrre un Mean Girls o un La ragazza della porta accanto in salsa gay. Le cose stanno finalmente cambiando, e Tuo, Simon ne è dimostrazione e pioniere: basta e avanza per promuoverlo.

Mi piace
Tuo, Simon è un film importante, che al di là della sua confezione da teen movie rassicurante non teme di mostrare il proprio cuore, la propria importanza educativa, sociale, sessuale.

Non mi piace
Il film non graffia, non tuffandosi appieno nelle questioni che propone.

Consigliato a chi
A chi cerca una bella storia d’amore, e al diavolo le etichette

Voto: 3/5

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