Jocelyn è lo stereotipo del tombeur de femmes. Cinquantenne imprenditore di successo a capo di una società specializzata in scarpe sportive, viene inquadrato nelle prime battute del film mentre ci prova con tutte le belle donne che incontra, fingendo via via nuove identità e un corredo di avventure strabilianti, per fare colpo sulle sue prede.
In epoca di #MeToo la caratterizzazione misogina e machista offerta da Franck Dubosc, stand up comedian di successo in Francia calatosi anche nel ruolo di regista per l’occasione, è volutamente demodé e infastidente, per servire a questo tipologia d’uomo una batosta colossale nel finale.
Mentre si trova a casa della madre morta per radunare ricordi ed effetti personali, Jocelyn fa conoscenza della giovane e bella Julie, che – vedendolo sulla sedia a rotelle della defunta madre – lo scambia erroneamente per paraplegico. L’uomo approfitta immediatamente dell’equivoco, per tentare l’approccio, ma la ragazza in realtà vorrebbe farlo accoppiare con la sorella più grande Florence realmente paraplegica.
Il viveur si ritrova così incastrato dalla sua stessa fandonia e costretto a vivere una doppia vita, una in piedi e una sulla sedia a rotelle, in un vortice di bugie sempre più delirante e complicato, da cui non sa come tirarsi fuori.
Potrebbe sembrare la solita commediola degli equivoci, con disvelamento finale, ma Dubosc serve allo spettatore un copione intelligente con un colpo di scena improvviso che spiazza lo spettatore ed eleva il film a un livello superiore.
Non era semplice l’operazione di ironizzare sulla disabilità in tempi di schiacciante politicamente corretto, ma Dubosc ci riesce con un misurato equilibrismo di toni e una protagonista femminile luminosa e carismatica, Alexandra Lamy, capace di ribaltare la prospettiva, facendo risaltare la disabilità interiore dell’uomo, al confronto della quale quella esteriore della donna sembra un difetto impercettibile. Anche perché Florence non si è fatta abbattere dall’handicap ed è una fuoriclasse del tennis e una violinista eccellente che fa concerti in giro il mondo.
Una volta assodato chi è il vero handicappato tra i due, il film si srotola tra momenti farseschi, dialoghi non scontati e ribaltamenti continui di prospettiva, che conducono a un finale sentimentale e a una resa definitiva dell’uomo, che è costretto a far cadere la maschera di fronte alla raggiunta consapevolezza e a schiudere quel cuore incrostato dagli autoinganni e dalla sua dipendenza dall’apparire.
Un esordio riuscito che cresce nella seconda parte e dimostra ancora una volta quanto il film francese sia capace di affrontare anche tematiche scomode senza mai cadere nel cliché, nella soluzione facile e ridanciana o nel patetismo malenso. Chapeau!
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