Laura (Penélope Cruz) arriva da Buenos Aires nella sua città natale in Spagna, in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio della sorella. Ma nel corso della festa nuziale la figlia maggiore della donna, Irene (Carla Campra) sparisce nel nulla e si viene a sapere che è stata sequestrata. La disperazione in cui piomba Laura è totale. Nel frattempo Paco (Javier Bardem), che ha ereditato delle vigne da suo padre e col quale Laura ebbe tanti anni prima un’intensa e appassionata storia d’amore, è in prima linea per ritrovare l’adolescente e mettere insieme la somma necessaria per il riscatto. I segreti del passato, però, torneranno a bussare prepotentemente alla porta di tutti.
Asghar Farhadi è li regista del dubbio. Questo cineasta iraniano, tra i più grossi campioni mondiali del cinema d’autore, ha costruito un’intera carriera sulle verità nascoste e supposte, sui segreti familiari e i non detti che vengono fuori improvvisamente e rimescolano tutte le carte in tavola. L’incertezza, in tutti i suoi film proprio come nell’ultimo Everybody Knows (Todos lo saben), non è solo un presupposto narrativo e metodologico indispensabile, ma una condizione essenziale.
Verrebbe da dire anche, forzando un po’ la mano e guardando al film con Penélope Cruz e Javier Bardem, che è innanzitutto e soprattutto una questione morale, perché i suoi personaggi non sono mai giudicati né tantomeno inchiodati alle loro colpe. Le loro fragilità sono sempre le nostre, problematizzate e processate di pari passo allo sguardo dello spettatore. Con una naturalezza e una fluidità che sono un inno all’intelligenza della buona scrittura, all’immortalità di ogni solida drammaturgia.
È dunque interessante notare, con buona pace di quanti si sono già dilettati a derubricarlo a telenovela ispanica di bassa fattura, che nonostante la gita fuori porta in Spagna e le esigenze produttive della committenza il cuore del suo cinema sia rimasto immutato. Per lucidità e per struttura, a dispetto di un piglio da mélo familiare e di una suddivisione in tre atti – il matrimonio, il rapimento, le sue conseguenze– più schematica del solito, che gli sottraggono la solidità di ferro degli altri film del regista.
Esponendolo però, allo stesso tempo, a nuovi spiragli di umanità, a un’affettività non solo più scomposta ma anche più tagliente. Non è un caso, dopotutto, che Everybody Knows, prodotto anche da Andrea Occhipinti per Lucky Red, si apra con gli ingranaggi dell’orologio di una Chiesa visti dall’interno. Perché Farhadi, in fin dei conti, lavora da sempre sul tempo trascorso e sul passato sotterraneo, disseppellendolo con devozione e abnegazione ma anche con vocazione funzionalista (nella quale, come in sociologia, i blocchi della società non possono essere separati), tra rancori e segreti, tra ferite e separazioni.
Nei suoi film c’è quasi sempre un evento che scompagina tutto, riscrive la Storia da zero, impedisce e ci impedisce di essere gli stessi, di guardarci allo specchio con gli stessi occhi. È così anche qui, come dimostrano le rare ma preziose volte in cui il regista decide di alzare la temperatura emotiva dei suoi contatti umani, inchiodandoci alle sfumature psicologiche come fossero esplosioni da cui è impossibile distogliere lo sguardo.
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