Tutto quello che vuoi
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Tutto quello che vuoi

Tutto quello che vuoi

Raccontare due generazioni a confronto e soprattutto farlo con grazia, intelligenza e onestà intellettuale non è cosa sempre facile. Spesso anzi non lo è affatto, proprio come il dialogo tra genitori e figli: tronco, interrotto, vittima di errori reciproci e incomunicabilità sparse, con due parti in causa troppo simili per mettersi vicendevolmente a fuoco e cogliere con lucidità i rispettivi sbagli.

Il dialogo generazionale non avrà dalla sua tale problematicità dovuta a una vicinanza forse troppo grande per essere smaltita o tantomeno compresa, anche quando si crede o si dichiara di non somigliare affatto ai propri genitori, ma in un compenso ha un ostacolo forse più grande: una distanza materiale, concretissima e tangibile perché scolpita nel tempo, una lontananza che talvolta può caricarsi di differenze culturali, sociali, identitarie. Ed è da questa miccia, da questa frattura che Francesco Bruni muove per dedicarsi al suo miglior cinema da regista.

Dopo il successo di Scialla!  e la parentesi non troppo fortunata di Noi 4, che provava a raccontare proprio l’abisso indissolubile e inestricabile della relazione genitori – figli, lo sceneggiatore romano cresciuto a Livorno torna dietro la macchina da presa riprendendo il dualismo che aveva caratterizzato il suo esplosivo esordio alla regia e ritrovandone più che in parte lo smalto, la solarità, la profondità docile eppure non urlata, incapace di prendersi troppo sul serio ma attenta alle sfumature e ai reticoli che possono instaurarsi anche tra persone lontanissime nel tempo ma vicine nello spazio.

Il Luca Colombo di Scialla!, interpretato da Filippo Scicchitano, lascia il posto a un altro ragazzo romano tutto d’un pezzo, poco istruito e irruente, ignorante e rozzo, l’Alessandro di Andrea Carpenzano. Un po’ per caso il ragazzo si ritrova ad accettare un lavoro al servizio di Giorgio, interpretato dal maestro del cinema italiano Giuliano Montaldo, qui poeta dimenticato e affetto da morbo da Alzheimer che vive poco lontano da casa sua e che occupa lo stesso ruolo, con i dovuti distinguo, del professor Bruno di Fabrizio Bentivoglio nel primo film di Bruni.

Tra i due nasce una connessione un po’ da strana coppia, venata di tenerezza strampalata e surreale incomunicabilità, che li porterà addirittura a imbarcarsi insieme in un road movie improbabile alla ricerca di un tesoro di guerra insieme agli spavaldi amici di Andrea e ad approdare a un’amicizia irripetibile e preziosa, che cambierà, sottobanco e senza far rumore, la vita di entrambi.

Ispirandosi liberamente al romanzo Poco più di niente di Cosimo Calamini, Bruni bilancia malinconia dolente e comicità di situazione, facendo fare al proprio confronto generazionale un decisivo salto di qualità: non è solo un buddy movie e un film d’amicizia sui generis, Tutto quello che vuoi, titolo emblematico nella sua ricerca di una stabilità emotiva e di un orizzonte del desiderio ideale e ottimale, a prescindere dall’esperienza accumulata e dal numero di primavere alle spalle.

È infatti anche un tentativo di riflettere sul passato come serbatoio problematico di indizi, ricordi e possibilità infinite da cui ripartire, elencati e tracciati su un muro, come fa Giorgio sulle pareti di casa sua un po’ alla Alda Merini, ma anche interiorizzati, fin quasi a coincidere con delle cicatrici in tutto e per tutto interiori. La caccia al tesoro e il road movie, in tal senso, sono dei dispositivi per far fare al film un salto di tono non indifferente, sfiorando anche i trascorsi bellici dell’Italia nella Seconda guerra mondiale.

Col suo pudore svagato e la sincerità della propria ispirazione, che muove anche dalla malattia del proprio padre reale, Francesco Bruni propone di fatto una versione intimista e delicata di Scialla!, dove a contare non è tanto l’esplosività verbale e pirotecnica dello scontro ma la leggerezza morbida e accogliente dell’incontro, del viaggio, del paesaggio da contemplare e gustare insieme, delle proprie origini – pisane, nel caso del personaggio di Montaldo, e per un livornese come Bruni non è contrasto da poco – cui fare foscolianamente ritorno.

L’ambientazione romana è azzeccata e calzante, trasteverina e credibile (Bruni dopotutto vive a Viale Glorioso, punto di contatto e di snodo al confine tra i quartieri romani di Trastevere e di Monteverde) e il regista dimostra ancora una volta di conoscerla benissimo e di sapere il fatto suo. Intensa e sorprendente, oltre che coraggiosa in quanto sfida a tutto campo, è anche la recitazione di Montaldo, che pur con qualche eccesso di maniera restituisce egregiamente le sconnessioni, le dispersioni, i vuoti, i black out e le mancanze buffe e tragiche di una malattia straziante eppure beffarda come l’Alzheimer.

Menzione speciale per la spassosissima gag col Grande Torino alla Playstation e per il personaggio di Donatella Finocchiaro, un piccolo ruolo interessante e carico di sfumature: una madre non più giovanissima ma nemmeno in là con gli anni, sospesa tra la gratificazione delle attenzioni erotiche di Alessandro, amico di suo figlio, e la voglia di aiutarlo, per essere per lui la madre che il ragazzo non ha mai avuto e per impedirgli di bruciarsi.

Mi piace: il notevole e ispirato tratto di Bruni nel raccontare i contrasti generazionali

Non mi piace: qualche eccesso di maniera nella recitazione di Montaldo, comunque funzionale e perfetto per il ruolo di Giorgio

Consigliato a: chi cerca un cinema italiano, anche di commedia, capace di puntare più in alto e intavolare perfino la rappresentazione di un sentimento del tempo che non rinuncia a riflettere sul passato recente del paese

Voto: 3/5

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