Un giorno devi andare: la recensione di Marita Toniolo
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Un giorno devi andare: la recensione di Marita Toniolo

Un giorno devi andare: la recensione di Marita Toniolo

La luna si nasconde dietro le nuvole per poi dissolversi nell’ecografia di un feto nel ventre materno, mentre le lacrime rigano il volto di una giovane donna di nome Augusta. Sono queste le prime scene di Un giorno devi andare, interpretato da un’intensa Jasmine Trinca sullo sfondo di un Brasile che mescola paesaggi “maestosi e violenti”, traboccanti favelas urbane e semplici villaggi di indios cresciuti attorno ai mille affluenti del Rio delle Amazzoni.
Ed è proprio lungo quelle acque torbide che Augusta inizia il suo viaggio di ricostruzione interiore, per integrare il dolore della perdita di quel bambino mai nato, di un marito che l’ha abbandonata, di un padre affettuoso sparito troppo presto e di una madre troppo fredda per tamponare anche solo in parte ferite di tale portata.
La recherche che Giorgio Diritti fa compiere alla ragazza inizia sul battello di Franca, amica missionaria della madre che con fede incrollabile evangelizza gli indios di quelle zone e cerca di trascinare anche la figlia dell’amica lungo il suo percorso di fede.
Alla giovane il paternalismo missionario cattolico sta presto stretto e, sebbene quella vita aspra e difficile l’abbia smossa, non ha placato comunque le sue domande inespresse a parole, ma palpabili nel suo sguardo sempre malinconico e dubbioso, nella sua insofferenza strisciante ai modi e alle credenze della compagna di viaggio.
Inzia qui una seconda parte completamente diversa, in cui Augusta abbandona il fiume e si fa “adottare” dalla matriarca di una curiosa famiglia in un villaggio di palafitte vicino a Manaus, dove – mescolandosi alla gente del luogo, compiendo con loro lavori umili, lasciandosi trascinare in una relazione sentimentale con un ragazzo – cerca di rimettersi in gioco, sospendendo le sue domande sul divino e “facendosi terra” come spiega in una lettera a Franca.
Un passaggio festoso, rigenerante, ma non privo di riflessioni critiche, anche drammatiche, in cui Diritti usa molta camera a spalla, stando addosso alla Trinca (il cui volto gentile illumina tutto il film) e agli altri personaggi, soprattutto ai tantissimi bambini che sempre la circondano con la loro allegria mentre calpestano fango e rifiuti.
Se ne evince quanto il regista sia coinvolto in prima persona dalla realtà che sta raccontando, così lontana e imperfetta eppure così preferibile al cinismo e all’asetticità europei. Un giorno devi andare è un film dall’identità sfuggente, in cui prevalgono le suggestioni fornite dalla natura incontaminata del luogo, descritta con panoramiche poetiche che più di una volta sopraffanno il racconto e lo fagocitano oppure, al contrario, sottolineano in modo ridondante sentimenti già di per sé esasperati. Il film non offre soluzioni né allo spettatore né tanto meno alla protagonista, che nella parte finale si isola ed espone il suo corpo a quella natura imprevedibile: corpo arso dal sole o sferzato dal vento e dalla pioggia, che in assenza di risposte cerca almeno una catarsi.  Ci si perde nella discontinuità delle situazioni e dei troppi personaggi che le ruotano intorno senza mai scalfire veramente né la sua vita né noi. Per quanto si possa apprezzare l’obbligo morale del regista di raccontare ciò che veramente gli preme, in questo salto Oltreoceano sembra essersi perso, quando invece nei piccoli mondi raccontati con Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà tutto quadrava. La nostra terza stella più che una valutazione è un incoraggiamento a Diritti a continuare lungo il percorso di coerenza morale ed estetica fin qui imboccato.

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Mi piace: la bellezza della fotografia e la forza iconica del volto della Trinca, che riempie lo schermo anche senza bisogno di dialoghi.

Non mi piace: l’incapacità di costruire attorno all’attrice un mondo realmente interessante

Consigliato a chi: più che risposte cerca domande

VOTO: 3/5

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