Lo hanno definito il nuovo Giovane Holden e, nonostante il paragone ardito, il bestseller di Peter Cameron Un giorno questo dolore ti sarà utile è un bildungsroman ironico, delicato e specchio convincente di questi tempi inquieti e di approssimazione esistenziale. Il nostro Roberto Faenza ne ha fatto una trasposizione molto fedele, avvalendosi di un cast internazionale in cui spiccano il talento e l’efebica bellezza del giovanissimo semi-esordiente Toby Regbo.
Ma facciamo un passo indietro per tutti coloro che non hanno letto il romanzo. James Sveck ha 17 anni e divide il suo tempo tra letture colte e passeggiate con il cagnetto Mirò, che si crede umano ed è molto incline al giudizio; la madre (Marcia Gay Harden) è una gallerista che colleziona mariti sbagliati e bizzarre opere d’arte in egual misura; il padre (Peter Gallagher) è un Peter Pan che corre dietro alle trentenni e si stira le zampe di gallina; la sorella Gillian (Deborah Ann Woll), così egocentrica da aver preparato le proprie memorie a soli 23 anni, è incastrata in una relazione con un professore di semiotica col doppio dei suoi anni e per giunta sposato. Il solo punto di riferimento del ragazzo è Nanette (una sempre straordinaria Ellen Burstyn), nonna di buon senso e buon cuore, l’unica tra i grandi ad accettare il carattere solitario e intellettuale del ragazzo e le sue stranezze, quando gli altri lo vorrebbero più integrato e socievole. Specie dopo i misteriosi fatti avvenuti in una gita per supercervelloni a Washington, durante la quale James è sparito senza dare motivazioni.
Mentre tutti si affannano ad accertare la sua normalità, messo costantemente di fronte ai comportamenti immaturi di chi lo circonda, lui interroga sarcastico la life coach (Lucy Liu) impostagli dalla madre: «Se io sono un disadattato allora gli altri cosa sono?». Alla fine, mixando i consigli della terapeuta – che riconduce gli eccentrici conportamenti del ragazzo a un eccesso di sensibilità – ai consigli pieni di saggezza che Nanette gli lascia in una lettera, James troverà la chiave per seguire le ragioni del suo suo cuore senza adeguarsi a nessuna aspettativa o cliché e brindare finalmente alla vita.
Le good news sul film riguardano la qualità della regia e della sceneggiatura che, però, sono talmente fedeli al romanzo di partenza da sfiorare la rappresentazione pedissequa. Le bad news hanno invece a che fare con l’eccessiva “letterarietà” dei dialoghi che avrebbero dovuto essere adattati maggiormente al mezzo cinematografico per risultare meno sentenziosi. Ma bisogna riconoscere a Faenza di aver scampato il pericolo più insidioso, ovvero lo scivolone verso il prodotto televisivo, che era nascosto dietro a ogni angolo della New York in cui libro e film sono ambientati. E si farebbe un torto alla sua crew, italica, se non si riconoscessero i meriti di un montaggio ben ritmato, di una fotografia che non odora mai di provincia e di una colonna sonora molto cool (di Andrea Guerra, con voce di Elisa), che gareggiano tranquillamente con gli standard Usa.
Senza contare l’ottimo cast, in cui, oltre agli adulti, tra cui spicca anche il colonnello Quaritch di Avatar, Stephen Lang, il merito più grande va proprio al giovanissimo Regbo (sembra prelevato da un film di Gus Van Sant) e alla sua capacità di bucare lo schermo.
Il film raggiunge così un’ampia sufficienza, senza mai concedersi rischi e cadendo piuttosto in diverse scontatezze del genere “indiestream” (indie+mainstream) in cui è facile collocarlo. Il tema della famiglia disfunzionale non è certo una novità nel cinema americano, ma considerando che il film, a parte cast e Ron Stein come produttore (insieme a Milena Canonero ed Elda Ferri) è proudly italian, e che a casa nostra di pellicole così non se ne vedono mai, non resta che complimentarsi con la squadra e col suo capitano.
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Mi piace: L’internazionalità del profilo per una produzione di casa nostra. Il montaggio ritmato, la colonna sonora ad hoc, la fotografia e la regia mai sciatte. La scoperta Toby Regbo e gli ottimi comprimari.
Non mi piace: La fedeltà eccessiva al romanzo, che non fa correre nessun rischio. Lucy Liu.
Consigliato a chi: ai giovanissimi in crisi d’identità. Ai genitori con figli che soffrono di ipersensibilità. A chi ama i film indipendenti americani sulle famiglie disfunzionali. A chi cerca un Giovane Holden più contemporaneo.
Voto: 3/5
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