Un ragazzo d'oro: la recensione di Mauro Lanari
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Un ragazzo d’oro: la recensione di Mauro Lanari

Un ragazzo d’oro: la recensione di Mauro Lanari

“In sostanza, il film parla di padri troppo rapiti da sé stessi per riuscire a dare radici forti ai figli e di figli talmente innamorati dei propri genitori da proiettare all’esterno un’immagine irreal’e trasmutata della propria infanzia. Parl’anche, a chiosa del tutto, dell’equivalenza tra creatività e follia e della superiorità dell’urgenza artistica rispetto al quieto vivere. Infine, dà una stoccata alla vacuità dello showbiz di cui fa parte, che macina come un tritasassi le sue vittime.” Aggiungerei l’opposizione tra l’inconcludente frenesia di Milano e la produttività della pacatezza di Roma. “Ogn’anno, puntualmente, chi am’il cinema sa di poter incontrare un film scritt’e diretto da Pupi Avati e prodotto da suo fratello Antonio, all’insegna d’un’arte di raccontare le persone approfondendone le psicologie quasi solo sfiorandole e rappresentandole poi con dei modi lievi, pur sempre derivati dalla lezione realista, sia quando s’occupano di drammi sia s’hanno in primo pian’i sentimenti. Com’oggi, in questo bellissimo film ch’evoca, senza perdersi nell’incontro, addirittura i meandr’oscuri della pazzia.” “Sarà ch’il regista mi piace, sarà che Scamarcio l’ho trovato all’altezza, certo quand’un film t’emoziona e ti commuove, a mio avviso risulta essere sempre un buon film. Forse un po’ lento ma d’una lentezza, visto l’argomento, indispensabile. Con la presenza di due attrici quali la Stone e la Capotondi non invadenti, quas’al margine della storia pur essendone parte integrante”. Brava la Ralli. Un Avati tutt’altro che nostalgico e sentimentalista: duro, impietoso, lucido, dal suicidio fisico del padre a quello psichico del figlio, un figlio ch’il padre non si meritava. “Con l’ultima sua frase/ritornello ‘Io e te papà insieme siamo invincibili’, sprofonda irrimediabilmente nell’abisso, avvinghiato al corpo paterno gettatosi nel dirupo.” Coraggioso nel denunciare la sempiterna crisi della figura genitoriale maschile, Avati non si rivolge più solo all’indietro vers’il padre mortogl’a 12 anni, ma guard’al presente scrivendo la sceneggiatura con suo figlio Tommaso. Neorealismo stantio? In effetti m’ha infastidito una zoomata d’anni ’70 in 102 minuti di durata. Troppi nodi narrativi sciolti sbrigativamente come in una fiction tv? Semmai è l’inverso: proprio il lasciar irrisolti quei nodi lo distingue dalla didascalica pedanteria dei prodotti televisivi e lasci’aperto un film a tesi grazi’a un montaggio costruito per brusch’e violent’elisioni. Ottim’il titolo del libro bestseller: “Contro”.

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