Marina (Daniela Vega), ragazza transgender attraente e carismatica, ha una relazione con Orlando (Francisco Reyes), di vent’anni più giovane di lei. Un amore furtivo, che si consuma in gran segreto, ma anche con struggente e irripetibile intensità, alla larga dagli occhi indiscreti della famiglia di lui. Orlando muore però all’improvviso e la vita di Marina si ritrova in un vicolo cieco: sola contro il mondo, ma soprattutto contro l’odio cieco e feroce della famiglia di lui.
Sebastián Lelio è uno degli sguardi più interessanti del cinema sudamericano contemporaneo. Cileno, talento purissimo, amico di Pablo Larraín, che gli fa anche da produttore, si è guadagnato la ribalta internazionale con l’acclamato Gloria, ritratto femminile di coinvolgente e lucida vitalità su una donna tutt’altro che disposta ad arrendersi al tempo che passa.
La stessa grazia, visiva ed emotiva, la stessa passionale intelligenza si respirano anche nel suo nuovo film, Una donna fantastica, premiato con la miglior sceneggiatura all’ultima Berlinale. La protagonista, interpretata in maniera eccezionale dall’attrice Daniela Vega (una forza della natura, oltre che vera transgender) è il cuore martellante e il corpo fiero di quest’opera ambiziosa e coraggiosa, che fa dell’organo genitale uno specchio, talvolta purtroppo negato e spezzato, attraverso cui guardare il mondo (in tal senso c’è anche una scena bellissima ed esplicitamente metaforica).
Un film che parla di sessualità e di diritti nella maniera più limpida e giusta. Contrapponendo cioè la diversità e la peculiarità alla miopia e al pressappochismo più monolitici, al pregiudizio che riduce tutto a uno (o al massimo due), che rinnega la molteplicità di prospettive facendosi portavoce, a denti stretti, di un odio sociale viscerale, dalle radici purtroppo lontanissime.
È un film militante, Una donna fantastica, proprio come il francese 120 battiti al minuto (entrambi dati per favoritissimi per l’Oscar al miglior film straniero, tra l’altro), ma nel senso migliore e più alto, nell’accezione più contemporanea. Perché la sua militanza, la sua commovente identità queer, non è una sovrastruttura, un’esigenza di parte, una scelta d’opportunità, ma un bisogno costante, un faro inalienabile, che convive con la protagonista e viaggia insieme al lei, accompagnandone i passi più decisi come quelli più dolorosi.
Lelio, a partire dalle luttuose circostanze da cui il suo film muove, si dimostra un regista maturo e generoso, capace di gestire una cascata impetuosa, sotto il profilo visivo ed emotivo, con molta naturalezza. Lo fa soprattutto attraverso la forza poetica dell’invenzione e del colore, del blu e del rosso che convivono nella stessa romantica inquadratura. Della musica, perfino da balera, che il regista si dimostra, come in Gloria, abilissimo nel filmare e nel trasformare in qualcosa di magico e irripetibile, sottratto allo scorrere del tempo e del dolore.
Una donna fantastica è un film prezioso perché interroga lo spettatore senza farglielo pesare e lo costringe a chiedersi quale sia il suo posto nel mondo attraverso profondi interrogativi morali e mai moralisti, etici ancor prima che estetici. Nell’ultima parte, quando il destino di Daniela, che è anche una cantante lirica, imbocca una spirale non semplice, il film diventa quasi un horror. Senza per questo rinunciare, tuttavia, alla leggerezza trionfante di un’aria di musica classica.
Mi piace: lo sguardo del regista, umanissimo, alla costante ricerca di una sana identificazione tra protagonista e spettatore
Non mi piace: giusto qualche passaggio narrativo abbozzato della sceneggiatura
Consigliato a: chiunque cerchi un film potente e originale sulla sessualità e sulle sue implicazioni fisiche e psicologiche
Voto: 4/5
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