“Una questione privata” (2017) è il diciannovesimo lungometraggio dei registi di San Miniato Paolo e Vittorio Taviani.
I fratelli Taviani ancora in gioco e per niente domi raccontano ancora il loro cinema.
Paolo regista con il fratello (in difficoltà fisiche) sceneggiatore e aiutante nel montaggio…da quello che l’operatore dice nell’interviste.
Si deve dire che la forza con cui Paolo dice “questo è un film dei fratelli Tavani” denota la bontà dell’assunto e la lungimiranza delle riprese dell’uno mentre l’altro non è sul set fisicamente ma con le idee e il palmo della sua mano.
Ecco che il duo ritorna come ultimamente ha sempre fatto nonostante qualche mugugno e qualche facile critica (anche ironica). Incipit di sottrazione, offuscato dalla nebbia tra la natura collinare delle Langhe ridisegna in solo colpi lo schema narrativo dei due registi: pronti a farsi riconoscere con pochissime battute e giri di manovella. Un seguire la collina, le sue ombre scomparse, la vegetazione nascosta, i colpi vicini di una guerra, i destini immaturi di giovani e di anime sconosciute.
Dal libro di Beppe Fenoglio il film mantiene lo stesso titolo: un autore di grande intensità narrativa e da cui il cinema ha preso tutto o quasi il possibile da sviscerare.
Si deve dire che è difficilmente rappresentabile: forme, corpi, storia e storie sempre in conflitto con immagini e parole. E soprattutto di ricordi intimi.
Qui si narrano le vicende del ragazzo giovane partigiano Milton (nome dato al liceo, un nomignolo che per lui diventa emblema, nascondimento ma anche manifestazione della sua interiorità) e il rapporto amoroso verso Fulvia o meglio quello che è stato mentre sta sulla corda tesa come partigiano e il nemico nazi-fascista. Il suo ritorno all’indietro è verso un luogo conosciuto: nel suo cammino a ritroso ha di fronte la ‘sua casa’ che si colora di vivo mentre una domestica riapre le sue finestre e Milton ritrova sapori e odori di ieri. In un gioco malinconico i registi riaprono anche il loro cinema con luci soffuse, chiarori tenui, riflessioni antiche e guerra profonda dentro ogni uomo. Il partigiano e la sua storia privata come segno di allontanamento da ogni dove odierno come l’incontro con i genitori in un silenzio angosciante e assordante. Ineluttabili e rigati i volti dei due mentre il figlio fugge. Portici e soffio di vento che ammaestrano un volto sfinito.
Momenti di pausa tra un silenzio e degli spari, delle luci vive e un bianco che chiude il panorama delle Langhe per ricordare e rivedere un ballo. Milton seduto con una sigaretta mentre Giorgio e Fulvia ballano. ‘Non si può ballare…c’è la guerra’ ammonisce la custode mentre si affaccia da una porta. Ed ecco l’inquadratura verso un bottone del grammofono che abbassa il volume. Quasi zero. Anzi zero. Il silenzio ammonisce il partigiano e lo spettatore. La guerra e la lotta con il nazifascismo sono dentro, lascia vuoti privati e lascia fughe senza ripensamenti. Milton è solo, un ragazzo tra un mondo lasciato e una corsa insostenibile. Giorgio e Fulvia restano in ogni sguardo da cercare. È il film della rassegnazione, di un privato annullato, inconsistente e, fondamentalmente, importante per tutti.
E’ il brivido di un conflitto dentro i personaggi: spettrali, malati dentro e fantasmi nella storia mentre il privato non si fa da parte per Milton (Luca Marinelli), Fulvia (Valentina Bellè) e Giorgio (Lorenzo Richelmy).
‘Una questione privata’ rimane un film sottile, mesto, malinconico, denutrito, decantato, offuscato, privo, infantile, intimo, nascosto dentro il disegno di una storia italiana e confinata.
Da non disperdere: dei grandi vecchi (Olmi e i Taviani) ancora danno speranza per un cinema di ieri per domani. Sono loro che ancora riescono a darci qualche e più emozione. In tale pellicola Il regista bergamasco compare come produttore e i nomi di ‘familiari’ fanno compagnia ad un film piccolo nei modi ma grande nell’intensità espressiva. Verrebbe da pensare ad un Gian Maria Volonté o a un caratterista dei tempi migliori per rappresentare il nulla e il vivo emozionale di quest’ultima pellicola dei registi toscani. Forse è pretendere troppo per un tipo di cinema oggi invisibile.
I Taviani sono da consigliare e da appezzare. Ad un’età veneranda danno un ennesimo colpo d’ala ad un cinema futuro.
Voto: 7,5/10.