Unbroken: la recensione di aleotto83
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Unbroken: la recensione di aleotto83

Unbroken: la recensione di aleotto83

Ci sono alcune vite così incredibili da non sembrar vere, eppure la storia di Louis Zamperini, campione olimpico, soldato, naufrago e prigioniero di guerra, scomparso di recente all’età di 97 anni, è una di quelle che non ha bisogno di esser romanzata per risultare epica.
La scena iniziale del film diretto da Angelina Jolie non potrebbe essere più potente: un dettagliato combattimento aereo che ci catapulta immediatamente al centro dell’azione, per poi virare sull’infanzia del giovane Louie, spiegando la tenacia che lo motiva a vivere.
Figlio di immigrati italiani nell’America degli anni della Grande Depressione, tolto dalla strada grazie all’impegno agonistico nella corsa che lo porta persino a rappresentare il proprio paese alle Olimpiadi nella Berlino nazista del 1936, Louis “Zamp” Zamperini è quello che si dice un uomo di altri tempi, uno che supera i propri limiti e affronta le difficoltà senza mai tirarsi indietro.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo porta su quell’aeroplano a combattere nei cieli del Pacifico infestati dagli Zero giapponesi, poi d’improvviso una nuova svolta: l’abbattimento del bombardiere lascia Louis e altri due commilitoni sopravvissuti a galleggiare a bordo di un canotto di salvataggio, in mezzo alla vuota immensità dell’oceano, senza viveri e circondati da squali famelici quanto loro.
Questa straordinaria parte centrale è la più riuscita della pellicola, benché possa ricordare una situazione alla “Vita di Pi”, è sostenuta dalla credibilità degli stenti a cui sono sottoposti i tre ragazzi, addosso ai quali vediamo i segni della fame nei corpi realmente smagriti, la pelle bruciata dal sole impietoso, ma soprattutto la volontà di vivere che li porta non smettere mai di sostenersi a vicenda, farsi coraggio e condividere quel poco di acqua e cibo che riescono a procurarsi con le proprie forze.
Ci resteranno per un periodo lunghissimo, dopodiché le prove per il nostro eroe non saranno ancora finite: la sua personale Odissea lo condurrà ad essere prigioniero in un campo di lavoro giapponese, torturato da un sadico ufficiale, ma la sua scintilla interiore gli permetterà di sopportare tutto senza mai piegarsi.
Fortunatamente il personaggio tratteggiato dalla regista Jolie non è un macho patriottico sorretto solo dai propri ideali, né un leader, bensì un giovane che riesce ad adattarsi alle situazioni senza disperare, che sa farsi carico dei più deboli (il compagno di scialuppa Mac), o lasciarsi guidare dai più forti (il saggio compagno di prigionia Fitzgerald).
Il nome dell’attore che interpreta il protagonista è uno di quelli da segnarsi, perché se saprà scegliere bene i ruoli futuri è destinato a diventare una stella di Hollywood: Jack O’Connel, benché ancora sconosciuto, ha la faccia, la bravura e la sensibilità per incarnare il fulcro di un film che con un altro tipo di interpretazione sarebbe potuto risultare pesante.
Il merito della riuscita di Unbroken non è solo suo, ma anche del resto del cast di giovani ancora poco famosi come Domhnall Gleeson, simpatico protagonista della commedia “Questione di Tempo” e futuro Jedi nel nuovo Star Wars, o come Garrett Hedlund visto in “Tron Legacy” e nel poco riuscito “On The Road” di Walter Salles, ma soprattutto della direzione di Angelina Jolie: la diva, alla sua seconda prova registica, dimostra di saper gestire abilmente i cambi di ritmo e la suddivisione delle progressioni temporali, riuscendo a fondere quelli che sembrano tre film diversi in uno solo, con un occhio sempre attento all’evoluzione del protagonista.
Nel cinema bellico ci sono esempi inarrivabili e la Jolie non è né Spielberg né Eastwood, ma sa mescolare bene i generi e rendere un rispettoso omaggio ad una figura eroica che inspiegabilmente non aveva ancora trovato il proprio posto sul grande schermo.

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