Unbroken: la recensione di Mauro Lanari
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Unbroken: la recensione di Mauro Lanari

Unbroken: la recensione di Mauro Lanari

Il kolossal/blockbuster secondo la Jolie: un biopic s’un invincibile personaggio che non s’è piegato davanti ad alcuna prova malefica per quanto terribile essa potess’essere. Louis Zamperini, morto il 2 luglio dell’anno scorso, fu anche un predicatore evangelico, e la regista non nasconde quest’elemento cristiano e cristologico imprescindibile nella personalità del suo protagonista. E perché avrebbe dovuto farlo? Ne ha romanzato la storia vera sino a falsarla? Forse gli squali vinti a pedate o “le guance glabre e il pizzetto curatissimo dopo 47 giorni alla deriva nell’Oceano Pacifico” intaccano il nòcciolo del discorso? Non mi pare. La critica s’è accanita contro questo film, penso ch’invece bisognerebbe cercare di capire la ragione per cui il pubblico lo stia apprezzando: “‘Vita di Pi’, ‘Cast Away’, ‘Rambo’ e altri mille film”. Allora diciamola tutta: mill’altri “survival movie”. Evidente che, se il neonato 3° millennio non fosse già percepito duro da vivere e affrontare, un tale genere di (iper)lungometraggi non troverebbe un target così bendisposto ad accoglierlo. Segno dei tempi, e com’indizio eviterei di sottovalutarlo o, pure peggio, disprezzarlo. Non è un capolavoro artistico o autoriale nemmeno lontanamente, m’ha un indiscutibile valore sociologico: ridotti a un’estenuante gara di resistenza da “imitatio Christi”, chissà poi a che scopo. E ci sono persino coloro che vanno fieri d’aver sopportato 143 minuti da far impallidire il Gibson de “La passione”. Sugl'”end credits” infima “Miracles” dei Coldplay che non azzeccano una canzone d’appunto quasi una dozzina d’anni.

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