“La CGI è al livello di ‘Sharknado'”, “la love story è scopiazzata da ‘Pearl Harbor'”, le sequenz’in acqua sono rubate da ‘Titanic'”, “all’epoca l’insegne al neon non erano stat’inventate”, “nel 2001 Discovery Channel ha prodott’un documentario imparagonabilmente migliore di questa schifezza”. Leggo anche la delirant’accusa di patriottismo per l’inedita, al grosso pubblico, denuncia del più grave scandalo nella marina militare statunitense durante la 2a G.M. Se per divulgare tale vicenda dovevamo aspettare Eastwood, che ha evitato la grana nel dittico “Flags of Our Fathers”/”Letters from Iwo Jima” (2006), stavam’ancor’all’oscuro di tutto. Idem per Spielberg il quale, ne “Lo squalo”, ha liquidato la rogna limitandosi a un’unica scena di 5 minuti dove Robert Shaw impersona uno dei sopravvissuti della USS Indianapolis che ricord’a Richard Dreyfus solo la mattanza provocata dai pescecani. D’altronde “Jaws” è del ’75 mentre McVay venne riabilitato da Clinton appen’il 30 ottobre del 2000. La materia non s’addice ai sedicenti Autori magnati d’Hollywood, accortissimi nel non inzaccherar’il proprio pedigree con simili faccende sporche. Per queste ci vogliono cineasti che non abbiano nulla da perdere e quindi “Men of Courage” come dimostra Van Peebles. In realtà il film “tien’il timone e, nonostante l’evidenti carenze a livello tecnico e visivo, si giunge ai titoli di coda senz’intoppi e, cosa non da poco, s’apprende una verità storica sconosciuta ai più.” Il regista “fa un lavoro egregio nel raccontare la vicenda di McVay e nel riabilitare un uomo distrutto, trasformato in capro espiatorio e dat’in pasto alla gente da un governo che si rivela più spietato e feroce degli squali a cui McVay era miracolosamente scampato.” Molti recensori perpetuano l’infamia (Rotten: 3.4/10; Metacritic: 30/100; AllMovie:1.5/5).
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