Schnabel prov’a tradurre tensioni, inquietudini, difficoltà di van Gogh mediante l’uso della cinepresa, che dovrebbe farci vedere la realtà con gl’occhi del pittore così come lui la vedeva. L’inquadrature in soggettiva e in controluce, traballanti, sghembe, sfocate vogliono proiettarci dentro la vita dell’uomo e dell’artista. Ma è questo il vero van Gogh? La persona ch’emerge dai suoi scritti (diari e lettere) oppure dai suoi lavori (quadri, schizzi, ritratti)? Non c’è traccia della furiosa, ossessiva, delirante vorticosità pittorica ed esistenziale che l’ha consegnato alla storia. Essa viene qui rimpiazzata da una propensione per un’estaticità cristologica che forse è presente nelle sue riflessioni ma non nella sua arte. Ad aggravare il risultato, il film s’affida troppo alle parole, ricorrendo spesso a lunghi pedanti dialoghi esplicativi.
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