Non fosse bastato “Lo chiamavano Jeeg Robot” ad elevare l’asticella qualitativa del cinema nostrano, ecco arrivare nelle sale un altro autentico gioiello di sceneggiatura. “Veloce come il vento”, regia di Marco Rovere, racconta in maniera sublime un cupissimo dramma famigliare ambientato nel mondo delle corse automobilistiche. Considerato da molti come il “Rush” italiano, pellicola con la quale condivide non solo il tema sportivo, l’opera di Rovere spicca per le forti emozioni che riesce ad esprimere, dovute soprattutto alla grande interpretazione dei due protagonisti.
Senza scomodare sfarzi ed elementi “hollywoodiani”, Rovere sceglie la piccola realtà emiliana per raccontare la storia dei De Martino, famiglia che da sempre prende parte a questo spettacolo tanto emozionante quanto rischioso. Giulia (Matilda De Angelis) non ha nemmeno diciotto anni ma spinge sull’acceleratore come una veterana. Non ha paura di affrontare una curva a forte velocità perché è temprata molto più di quello che dovrebbe essere una ragazza della sua età. Merito della dedizione di papà Mario, che crede ciecamente nel suo talento al punto di investire tutto, anche la propria casa, pur di poterla far correre in campionato. Purtroppo il sogno di vederla vincere sfuma troppo presto, quando un infarto lo colpisce durante la prima gara della stagione. E’ a questo punto che entra in scena Loris, fratello maggiore, ex pilota e ora tossicodipendente, impersonato da uno Stefano Accorsi semplicemente memorabile.
Assoluto mattatore, caratterizzazione del personaggio ai limiti della perfezione, Accorsi ritrova nella provincia di origine una rigenerazione emblematica, l’evoluzione più cupa di quell’Ivan Benassi che Ligabue lanciò con “Radiofreccia”. Al di là del trucco certosino, fatto di denti marci e di una trasandatezza spaventosa, la forza di uno dei più bei personaggi dell’ultimo periodo del cinema italiano, passa attraverso un’ interpretazione concreta: un realismo toccante capace di trasmettere la drammatica profondità di un abisso senza fine e allo stesso tempo di suscitare risate amarissime.
E’ lo scontro tra queste due incredibili forze ad animare una pellicola che profuma di capolavoro. Perché anche Matilda De Angelis, debuttante e con una somiglianza non tanto vaga con Jennifer Lawrence, è una splendida sorpresa. Tosta e caparbia, la sua Giulia diventa l’immagine innocente e grintosa di chi si è trovata il mondo addosso senza conoscerlo. Una dolce figura protettiva nei confronti del piccolo Nico, un carattere da leone nell’affrontare l’anima sbandata del fratello maggiore.
Un rapporto che non può funzionare. Ma per quanto forti o disperati, nelle vene scorre lo stesso sangue. E se Giulia può contare solo su stessa per andare avanti, e su Tonino, vecchio amico di papà e meccanico, Loris ha diverse ancore di salvataggio per non affondare del tutto. La prima passa per l’automobilismo, quel mondo lontano che lo aveva portato alla ribalta con il nome di Ballerino. Da qui inizia quella che diventerà una delle più belle storie d’amore fraterno, nel momento stesso in cui indossa le cuffie nel box (scena tra le più intense) per guidare Giulia in pista.
Le corse diventano solo un pretesto sul copione, la valvola di sfogo per spingersi oltre i propri limiti. La vera storia scorre fuori pista, facendo emergere in maniera vulcanica la personalità di Loris, difettata si, ma piena di impegno, seppure a suo modo, seppure limitato. Le messa in gioco della contrapposizione tra odio e amore non è mai banale. Tra urla, pianti, false speranze e false promesse, Rovere gestisce un tema estremamente delicato senza risparmiarsi, mostrandone gli estremi in modo cruento, dando a Giulia l’impossibile compito di mettere insieme i cocci. Osa, ma ottiene i momenti migliori quando mette a nudo la debole fragilità dei personaggi, dando vita a scene cariche di rara intensità. Come lo sfogo di Loris di fronte alla dannazione per non riuscire ad essere una persona “normale”.
Ci sono poi un campionato da vincere e debiti da saldare, magari correndo una pericolosissima corsa clandestina. C’è una vita intera da vivere, in salita ma con le proprie gambe. E infine c’è la gara più dura in assoluto, che altro non è che Loris stesso.
Rovere disegna una grandissima favola e la accompagna con una roboante colonna sonora rock che si fa sentire nell’anima. Spreme in maniera magistrale due attori straordinariamente compatibili e ne tira fuori un’anima unica e trionfale. Un successo paesano, privo di frivolezze ed eccessi fuori schema. L’ennesimo sintomo che il cinema italiano può distinguersi con eleganza.
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