Francia, XIV Secolo. Marguerite (Jodi Comer), moglie di Jean de Carrouges (Matt Damon), Cavaliere del Re, accusa Jacques Le Gris (Adam Driver), amico di vecchia data del marito, di averla aggredita e violentata. La contesa che ne seguirà, mossa dal coraggio di Marguerite, determinata a non far passare il crimine sotto silenzio, porterà i due uomini a combattersi alla morte nell’ultimo duello legalmente autorizzato nella storia francese.
Ridley Scott torna a girare un kolossal in costume, genere nel quale ha sempre dimostrato di trovarsi a suo agio, dall’esordio con I Duellanti ai successi de Il Gladiatore, da Le Crociate a Robin Hood fino a Exodus: Dei e Re, per raccontare un fatto realmente accaduto che ben si presta a fare da centro nevralgico per creare un affresco di un periodo storico e di una società come quella della Francia medievale.
Lo fa partendo da una sceneggiatura basata sul romanzo di Eric Jager, scritta da Nicole Holofcener, Ben Affleck e Matt Damon (i due non collaboravano alla scrittura da Will Hunting – Genio Ribelle, film che valse loro l’Oscar per la Miglior sceneggiatura Originale nel 1998 e che lanciò le loro carriere) che decide di raccontare la vicenda, che si dipana per diversi anni, da tre punti di vista diversi, quelli dei tre protagonisti: assistiamo quindi al ripetersi di determinate situazioni, mentre i percorsi dei tre personaggi risaltano nella loro netta differenza.
Il Jean de Carrouges interpretato da Matt Damon è un uomo d’armi alla costante ricerca di una tranquillità sociale ed economica che sembra sempre sfuggirgli, mentre Jacques Le Gris, portato in vita sullo schermo da Adam Driver, è un uomo dalle umili origini disposto a tutto per ottenere quello che desidera. Tra i due contendenti, spicca la figura di Marguerite, donna dalla grande forza morale, che decide di prendere posizione in una società nella quale le donne sono trattate alla stregua di oggetti.
Risulta evidente che The Last Duel voglia non solo portare in scena un grande racconto epico fatto di battaglie, tradimenti, violenza e duelli, ma anche riflettere sul ruolo della donna nella società e sulle ingiustizie che essa è costretta a subìre, con chiari riferimenti ai movimenti per i diritti femminili che negli ultimi anni hanno scosso non solo la comunità hollywoodiana ma il mondo intero.
Nonostante la lettura in chiave moderna sia uno dei punti di maggior interesse nell’analisi dei suoi contenuti, il film non cade mai nella facile retorica e Scott, da grande regista qual è, lascia che siano gli eventi, i personaggi e le dinamiche che si creano tra loro a portare avanti una narrazione classica ma mai banale, fatta di molti dialoghi ma avvincente come un thriller. Fino ad arrivare al climax finale e alla messa in scena di uno dei duelli più brutali e spettacolari che si ricordino nel cinema recente.
La buona riuscita del film, appassionante e coinvolgente, è data dall’alchimia perfetta di un cast ricco di grandi attori (oltre ai protagonisti, troviamo tra gli interpreti Marton Csokas, Harriet Walter, Zeljko Ivanek) e dall’arte sopraffina di quella che ormai da tempo è la squadra fissa di collaboratori di Scott: dalle musiche di Harry Gregson-Williams alla fotografia di Dariusz Wolski, dai costumi di Janty Yates (che con Scott ha vinto l’Oscar grazie a Il Gladiatore) alle scenografie di Arthur Max, ogni aspetto tecnico del film partecipa in maniera determinante nella riuscita del racconto.
Su tutto, spicca l’abilità registica di Ridley Scott, che all’età di 84, con una media produttiva di uno o due film all’anno, dimostra di avere ancora non solo la stessa classe e lucidità che hanno contraddistinto tutta la sua carriera, ma anche la voglia di continuare a stupire il pubblico con opere di grande eleganza.
Il suo sguardo e il suo talento restano tra i più importanti e determinanti della storia della Settima Arte e The Last Duel ne è l’ultima (per ora) conferma.
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