Controverso, disordinato, imperfetto. Se alla fine Venom passa l’esame è solo perchè Tom Hardy farebbe la sua figura anche in una pubblicità di detersivi; ma l’imprint gigione (per non dire cazzaro) che assume la pellicola, soprattutto nella seconda parte, riesce a dargli man forte quel tanto che basta per accontentare tutti i palati.
Venom è un Marvel atipico (ma targato Sony quindi non collegabile all’universo Avengers), molto dark e con lampi di brutalità e violenza non proprio indicati per i più piccini. Non ha niente di rivoluzionario, a partire da una trama poco brillante e da una serie di personaggi che non convincono mai in pieno. Lo stesso Hardy fatica a indossare le vesti di Eddie Brock, giornalista d’inchiesta che si scontra contro un nemico farmaceutico/mediatico che non ci mette troppo a rovinargli la vita, compresa la storia con la fidanzata Anne Weying (Michelle Williams). Una storia di organismi alieni ed esperimenti genetici che se proprio non dovessero riuscire a curare il cancro avranno sicuramente qualche altra, dispendiosa, utilità per l’eccentrico dottor Carlton Drake, interpretato da un Riz Ahmed per una volta dall’altra parte dello specchio dopo le remissive intepretazioni in Nightcrawler e The Night Of.
Una serie di clichè strumentali che sembrano indirizzare la regia di Ruben Fleischer (Gangster Squad) verso la risoluzione di un compitino ino ino, ma che di punto in bianco vengono presi e rovesciati da un brusco cambio di registro che avvicina Venom a un più divertente DeadPool. E’ una scelta che paga, o quantomeno valorizza il talento innato di Hardy che da quel momento in avanti prende il copione in mano portandosi tutto il peso sulle spalle, in un vortice di follia e delirio incontrollato. Un pò come se l’avvenuta simbiosi con l’entità aliena avesse davvero dato un forte squillo di tromba. Brock e Venom diventano un ironico tutt’uno, l’angelo e il diavolo che (non) vanno a braccetto contro il (poco) convincente cattivo di turno, spinti da una (poca) motivazione comune, che si conclude in un (poco) spettacolare duello finale.
Eppure in mezzo a tutte queste imperfezioni il film regge il colpo, favorito anche da un genere tanto saturo quanto piacevole. Sceneggiatura e regia si fondono in una complessiva sufficienza stiracchiata ma lasciano sulla strada enormi rimpianti e ancor più grandi punti di domanda. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Al pari di una scena di inseguimento forse inopportuna e stantìa, emergono un paio di sequenze artistiche da applausi smisurati. Questo è Venom. E se alla fine saranno le cose migliori a prevalere, allora il giudizio viene da sè. Se ancora non dovesse bastare godetevi Tom Hardy, a volte talmente convincente da sembrare un pesce fuor d’acqua.
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