La piccola Lucilla Attorre soffre di asma ed è subito evidente che si tratti di un’affezione psicosomatica: la madre Susi (Micaela Ramazzotti), insegnante di danza aerobica, è infatti sempre di corsa, dimentica le proprie cose ovunque e trascina qua e là la sua bambina come un carrello della spesa; il padre Luca (Adriano Giannini) è un giornalista freelance con un debole recidivo per le donne.
Vivere, il nuovo film di Francesca Archibugi presentato Fuori Concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, è un’operazione che sposa la prospettiva di una famiglia relativamente agiata, ma con al suo interno forti sporcare proletarie, per raccontare il caos, la precarietà e la frenesia degli affetti di oggi. Uno scenario in cui i moti dei sentimenti sono costantemente sovraccarichi, circondati dall’abbraccio di uno sguardo empatico ma non di rado, all’occorrenza, anche cinico e tagliente.
È chiara e abbastanza programmatica la volontà, da parte della regista e e dei suoi due rinomati co-sceneggiatori, Paolo Virzì e Francesco Piccolo, di forzare i codici del classico dramma borghese di casa nostra per spingerlo dalle parti della sarabanda farsesca, al contempo isterica e umanissima, popolare e intellettuale. Tentando di tirare dentro al progetto l’immedesimazione di una larga fetta di spettatori, delle classi sociali più varie e e disparate.
La griglia dei personaggi in campo è senz’altro nutrita più del dovuto, dalla ragazza irlandese alla pari di nome Mary Ann (Roisin O’Donovan) al nonno potente e molto ricco interpretato da Enrico Montesano, ma è palpabile il desiderio congiunto di sceneggiatura e messa in scena di lavorare su di giri ma con coscienza delle traiettorie scombinate e non di rado catastrofiche dei protagonisti della vicenda. Tanto che, in questo andirivieni di situazioni al limite e passioni forti, il difetto respiratorio della bambina al centro della storia diventa quasi una sineddoche più generale delle atmosfere del film, il simbolo perfetto di questa costante tendenza alla sincope.
Il mélo di fondo, con queste premesse, si avvita spesso su se stesso, ruotando intorno a un perno molto stabile per sparigliare a più riprese le carte. Il punto di vista privilegiato che il film sembra sposare con maggior convinzione, quasi andando in cerca di un’etica e di una misura perdute, è proprio quello della giovanissima straniera che incrocerà il destino di Susi e in particolare di Luca, al quale Giannini dona moltissima verosimiglianza lavorando sugli inciampi, gli egoismi e le ridicolaggini anaffettive di questo freelance capace di tirare fuori dal cilindro improbabili fake news in cui meteoriti e concorsi di bellezza convergono.
In questa generosità disperata e priva di bussola risiedono tanto le fragilità quanto i non pochi motivi d’interesse di Vivere, che esagera con la carne al fuoco ma regala caratteri sovrabbondanti ma complessivamente molto credibili, investiti dal fiume in piena delle loro esistenze in scia a un senso di vertigine che il film della Archibugi è in grado di immortalare. Nel cast anche si segnalano anche Marcello Fonte nella versione “condominiale” del personaggio che interpretava in Dogman, solo sulla carta più rassicurante, e Massimo Ghini nei panni di un medico d’indole malinconica che conferma la sintonia di quest’attore, complessivamente sottoutilizzato dal nostro cinema, con ruoli anche piccoli ma carichi di sfumature e non detti.
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