Warcraft - L'inizio: la recensione di aleotto83
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Warcraft – L’inizio: la recensione di aleotto83

Warcraft – L’inizio: la recensione di aleotto83

Vi è un’antica e temuta maledizione per la quale, se un film è tratto da un videogioco famoso, è destinato a scontentare sia i fan più accaniti che gli spettatori casuali e condannato ad un tragico insuccesso.
Sulla sua strada, tale sciagura ha indistintamente lambito opere indifendibili come “Super Mario Bros” del 1993, per cui la “damnatio memoriae” non è lontanamente un rimedio sufficiente, e trasposizioni molto attese come “Tomb Raider” e “Final Fantasy”.
Attualmente il miglior incasso registrato appartiene ancora a “Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo” con Jake Gyllenhaal, anch’esso accolto tiepidamente dalla critica, e alla serie di cinque film (più un capitolo finale in arrivo) della saga di “Resident Evil” con un’implacabile Milla Jovovich.

Oggi una nuova generazione di giovani registi tenta di sconfiggere la maledizione, sfruttando la propria fama di esordienti prestigiosi e facendo tesoro delle esperienze in prima persona come giocatori.
Il primo valoroso a sottoporsi alla sfida è il quarantaseienne inglese Duncan Jones, che può vantare la realizzazione di due gioiellini cinematografici come “Moon” e “Source Code” oltre ad essere figlio d’arte, infatti il primo nome con cui fu presentato al mondo nel 1971 fu nientemeno che Zowie, primogenito del genio recentemente scomparso David Bowie.

La trama di “Warcraft – L’Inizio” ruota intorno allo scontro tra esseri umani e orchi per la conquista di Azeroth, un mondo rigoglioso che ha conosciuto un lungo periodo di pace fino all’invasione di questi ultimi, un popolo guerriero disperato senza più una casa proveniente da una terra morente. L’orda degli orchi, che viaggia attraverso le dimensioni varcando un portale magico, è guidata dal crudele stregone Gul’dan , il quale ne mantiene il controllo grazie al Vil, un’energia terribile riconoscibile dall’intensa luce verde, che si alimenta delle anime dei prigionieri e corrompe chiunque se ne serva.

Il regista sembra voler insistere sul fatto che non si tratta dell’ennesima lotta tra il bene e il male, ma che in entrambe le fazioni vi siano personaggi mossi da motivazioni quali la sopravvivenza o la difesa del proprio popolo, e altri che invece sono consumati dalla brama di potere.

In questo modo sarà facile parteggiare per l’orco Durotan, che si ritrova a dover difendere la propria compagna ed un figlio appena nato sul campo di battaglia, o per il valoroso cavaliere Anduin Lothar, interpretato dall’ex modello Travis Fimmel già star della serie “Vikings”, che si gioca tutto per la lealtà al proprio sovrano, il saggio re di Roccavento a cui presta il volto l’attore Dominic Cooper, al suo secondo ruolo in una pellicola tratta da un gioco dopo il riuscito “Need for Speed”.
I coraggiosi umani, su suggerimento del giovane apprendista mago un po’ pasticcione Khadgar, cercheranno l’aiuto del potente stregone guardiano Medivh, un ritrovato Ben Foster che si concede un ruolo fantasy dopo il serio ritratto di Lance Armstrong in “The Program”.
A completare il quadro dei protagonisti la statuaria Paula Patton, già vista tenere testa a Tom Cruise in “Mission Impossible – Protocollo Fantasma”, che qui interpreta Garona, orchessa mezzosangue con tanto di zanne e sex-appeal, che passa da essere prigioniera degli umani a leader della ribellione contro Gul’dan, aiutandoli a capire il punto di vista degli orchi fuggitivi e affascinando il prode Lothar.

I dialoghi e le dinamiche narrative principali sono piuttosto classiche e prevedibili, spesso decisamente banali, con il personaggio che morirà a metà film individuato dallo spettatore già alla prima inquadratura, come se avesse un marchio addosso, così come quello creduto buono che poi si rivela cattivo e via discorrendo, in un crescendo di colpi di scena a dir poco telefonati.

Il problema con questo genere di materiale è l’ispirazione: se consideriamo che il gioco di partenza attingeva a piene mani dalla letteratura fantasy (Tolkien, come sempre, in prima fila) rendendola un’esperienza interattiva per la gioia di milioni di nerd adoranti dell’epoca, oggi tradurre l’universo videoludico di Warcraft in linguaggio cinematografico vuol dire incappare obbligatoriamente nella sensazione di “già visto”, ci troviamo quindi di fronte ad un processo che ha metabolizzato le influenze di ben tre medium e ci restituisce un mix ben calibrato ma spudorato di suggestioni tolkeniane per stile e razze, citando persino Avatar, Harry Potter per le creature magiche, il Trono di Spade (qualcuno ha detto sette regni e mappa stile gioco?) e un po’ tutti i fantasy conosciuti, alimentando la sensazione che un po’ di originalità non avrebbe guastato.

Ma il risultato finale in fondo non è malaccio, lo stile registico di Jones, nonostante sia ingabbiato nelle limitazioni prudenti della superproduzione, non delude e a tratti compare chiaro come la luna tra le nubi, portando un po’ di anima in momenti in cui la storia respira e si riesce a trovare un senso nel fracasso della battaglia.
Perché comunque, a parte qualche inevitabile lungaggine iniziale visto il ricco prologo, ci si diverte parecchio nelle scene d’azione, condite di effetti speciali a tutti i livelli, con creature e ambientazioni digitali mozzafiato, inquadrature virate a volo d’uccello sul campo di battaglia fatte apposta per richiamare lo stile del gioco, che hanno fatto gridare di gioia l’orda di preparatissimi fan presenti in sala.
Già, perché non è da sottovalutare il responso degli appassionati giocatori accorsi al cinema in veste di spettatori, colti da grande entusiasmo nel riconoscere qualche oscuro riferimento, nel ripetere quei nomi irripetibili e contenti di come è stato reso sullo schermo un personaggio o uno snodo narrativo (quasi come se fossimo tutti lì seduti a guardare un video riempitivo di quelli che interrompe la partita tra un livello e l’altro, della durata di due ore e dieci).
E’ stata una strana sensazione, tanto per cambiare, non essere il più preparato in sala, tanto da capire poco o niente degli accesi discorsi dei gruppetti durante l’intervallo, senza dubbio a causa della mia scarsa frequentazione dell’epopea digitale targata Blizzard: la scarsa potenza dei PC che si sono susseguiti in camera mia e l’irrisoria velocità di connessione della zona dove vivo mi hanno tenuto lontano dai giochi più evoluti e da nottate insonni passate online a vivere l’universo di “World of Warcraft”.
La mancanza di esperienza ludica non mi ha impedito però di apprezzare l’identità grafica chiara e riconoscibile delle varie specie, a partire dagli spaventosi orchi pieni di zanne e muscoli che prendono vita dai gesti di attori specializzati attraverso la tecnica della “performance-capture” (ne è un esempio su tutti il guerriero Durotan, a cui presta i movimenti e gli occhi tristi l’attore Toby Kebbel, già sparito sotto il manto di un primate guerrafondaio nell’ultimo “Apes Revolution – il Pianeta delle Scimmie”), per poi entusiasmarmi per la presenza di maghi i cui poteri di combattimento sono stati rappresentati attraverso fasci di energia azzurra dalla resa visiva strabiliante.

La Universal, in collaborazione con Legendary Pictures e la casa di produzione dei videogames Blizzard Entertainment, sembra credere molto nel progetto di una nuova trilogia, e anche il regista Duncan Jones si dice pronto, se questo film produrrà il successo sperato, a dirigere il secondo capitolo visto il finale apertissimo e un po’ biblico di questa introduzione visivamente fastosa nel mondo di Azeroth.

In attesa di scoprire l’esito della sanguinosa battaglia al botteghino, non ci resta che concentrare le nostre attenzioni sulle prossime incursioni dei videogiochi al cinema, le più attese delle quali saranno di certo “Assassin’s Creed” con Michael Fassbender, che ci crede talmente da aver portato con sé regista e co-star dell’impegnato “Machbeth” Justin Kurzel e Marion Cotillard, e l’appena annunciato sviluppo di “Tom Clancy’s The Division” con protagonista Jake Gyllenhaal.

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