Wild: la recensione di Maria Laura Ramello
telegram

Wild: la recensione di Maria Laura Ramello

Wild: la recensione di Maria Laura Ramello

«Chi ca**o me l’ha fatto fare?» Cheryl ha percorso più o meno 100 metri ma, schiacciata dal peso di monster – il suo enorme zaino –, si è già pentita di aver iniziato la sua avventura.
L’obiettivo: percorrere a piedi e da sola il PCT, il sentiero delle Creste del Pacifico. Perché? Devastata dalla prematura perdita della madre la giovane Cheryl Strayed si rifugia in una bolla di alterazione fatta di sesso occasionale e stupefacenti, che in breve tempo la portano ad un passo dalla morte e al capolinea del suo matrimonio; con quel briciolo di forza e dignità che le resta decide di intraprendere il viaggio per guarire da se stessa.

Parlando di viaggio, archetipo classico delle narrazioni americane, verrebbe da scomodare per lo meno Jack Kerouak e John Steinbeck, ma a parte la classica struttura da road movie (in cui però le auto sono sostituite da scarponi da trekking o ciabatte legate ai piedi con lo scotch), il viaggio raccontato dal film di Jean-Marc Vallée ha poco a che fare con i classici della beat generation. Se la filosofia sottesa a quei viaggi si addensava in aforismi come “l’importante è andare, non importa dove” e “è il viaggio che prende noi, non siamo noi che intraprendiamo il viaggio”, qui invece il percorso e l’obiettivo sono chiari, e lo spostamento, più che ad una circostanza, assomiglia a una ben programmata terapia. La macchina da presa indugia sui cambiamenti fisici di Cheryl, sui suoi lividi, sulle sue unghie rotte, sul suo passato; le terre selvagge sono solo la cornice. Se in Into The Wild il protagonista si abbandona alla natura al punto di esserne fagocitato, in Wild la vera selvaggia è la protagonista, che dimostra tutta la sua forza d’animo e volontà di sopravvivenza.

Reese Witherspoon, candidata all’Oscar come migliore attrice per la sua interpretazione, convince nei panni della protagonista nonostante non sia aiutata da una sceneggiatura a tratti pesantemente didascalica. Mentre il montaggio a puzzle, con continui salti avanti e indietro nel tempo (la ricostruzione del passato non è lineare), favorisce un certo estraniamento estetizzante, ma molto meno l’immedesimazione.
Ma il problema più grande è che nonostante i piedi sanguinanti, la schiena spezzata e la dipendenza da eroina, sappiamo sin dall’inizio che Ceryl ce la farà. Ha già ritrovato se stessa nel momento in cui ha deciso di partire. Dicendo «chi ca**o me l’ha fatto fare», ha già vinto.

Leggi la trama e guarda il trailer.

Mi piace: la prova credibile di Reese Witherspoon.

Non mi piace: la sceneggiatura a tratti pesantemente didascalica.

Consigliato a chi: ama i road movie.

Voto: 2.5/5

© RIPRODUZIONE RISERVATA