Montana, inizio anni ’60. Joe (Ed Oxenbould) è il figlio sedicenne di una coppia piccolo borghese, appena trasferitasi in una nuova città. Jerry (Jake Gyllenhaal) lavora come giardiniere tuttofare in un campo da golf e Jeanette (Carey Mulligan) ha lasciato un posto da insegnante per fare la casalinga. Quando Jerry viene licenziato, decide di unirsi a un gruppo di operai che rischiano la vita per spegnere un incendio che devasta da settimane le foreste sulle montagne. Jeanette, rimasta sola, viene assunta come istruttrice di nuoto e inizia una relazione con un uomo molto più grande di lei.
Paul Dano è un attore meraviglioso. Ha un volto raro, da genio o disadattato, che avrebbe potuto confinarlo a pochi ruoli, e che invece piega col talento a posizioni drammatiche opposte, una qualità mimetica che Sorrentino ha intuito quando gli ha dato il ruolo del divo in Youth (basti pensare alla scena in cui Dano si traveste da Hitler). Il suo approccio minimalista, la misura che adopera sul set, torna identica nel suo primo lavoro da regista, tratto da un romanzo di Richard Ford. Del libro, Dano elimina la prospettiva in flashback, cioè la consapevolezza del dopo, e cala il suo giovane protagonista in una dinamica familiare in cui tutti gli assegnano la parte del testimone, scegliendo un attore che gli somiglia palesemente – un atto di mimesi forse involontaria ma in un certo senso commovente.
Wildlife si concentra sul rapporto di Joe con la madre, che in lui vede più un sodale e un confidente che un figlio, spalancandogli la prospettiva sulla sua infelicità, tradimenti compresi. Non c’è una vera conseguenza, il ragazzo adopera la sua maturità come una spugna, assorbe, elabora, trattiene. Se c’è una lacuna nel racconto cinematografico è l’assenza di altri effetti, se non fosse che quella è proprio la natura dell’opera. Joe inizia a lavorare nello studio di un fotografo, il suo istinto contemplativo diventa una professione, una presa d’atto del mondo. Così il film è come paralizzato: anche quando il conflitto tra i genitori deflagra, c’è sempre una specie di calma che si porta via tutto, una messa in scena controllatissima.
Ma è una paralisi bellissima, romanzata, piena di segnali di sentimento. Come un Revolutionary Road privato di una quota di dolore, del senso finale della sconfitta.
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