Al centro di X-Men: Dark Phoenix, ultimo capitolo della saga dedicato ai celebri mutanti, c’è la dottoressa Jean Grey (Sophie Turner), fedele assistente del Professor X (James McAvoy), che nasconde un potere psichico devastante. L’incontro con una razza aliena, avvenuto nello spazio nel corso di una missione interpreta dagli X-Men per conto del governo americano, lo farà esplodere definitivamente.
Ed è proprio la Fenice portata sullo schermo dall’interprete di Sansa Stark ne Il trono di spade il cuore di un episodio conclusivo che avviene ad acquisizione della 20th Century Fox da parte della Disney già acquisita e confermata, proponendosi di fatto come l’Endgame degli X-Men prima dell’avvento in sala di New Mutants previsto per il 2020. Un film, quello di Josh Boone, che sarà l’ultimissimo segmento del ciclo, una costola a margine che si preannuncia molto virata verso l’horror.
X-Men: Dark Phoenix, complice la centralità di Jean Grey e il suo rapporto simbiotico e non poco seducente con la villain Lilandra (Jessica Chastain), sceglie invece di esplorare il lato femminile del franchise come mai prima d’ora: una scelta di campo che al tempo di Captain Marvel e del #MeToo poteva portare con sé più di un’implicazione significativa, ma che purtroppo non riesce a esprimere fino in fondo le proprie potenzialità.
Il motivo è attribuibile soprattutto allo scarso appeal della Turner, che non riesce a dare al personaggio uno spessore particolarmente vistoso, né sul piano psicologico né su quello grafico, tanto da perdere il confronto con la precedente Fenice Nera (alla cui saga fumettistica il film si rifà), interpretata in passato da Fammke Janssen nel corso della saga. Il suo arco narrativo è poi eccessivamente preponderante (la vediamo bambina nel 1975 all’inizio, per poi ritrovarla adulta nel 1992), ma anche frettolosamente risolto da una sceneggiatura non sempre all’altezza.
È invece molto più efficace la Chastain, in cui contorni erano rimasti a lungo avvolti nel mistero: una supercattiva che vuole distruggere la terra dotata di capelli biondissimi, tratti diafani e volontà distruttive, tanto algida quanto magnetica, che sopperisce all’assenza di carica emotiva della Grey con una sottile, gelida vena mefistofelica che regala i momenti più interessanti e gli scambi di battute meglio congegnati, sempre pronti a scoperchiare “filosoficamente” le profondità apocalittiche della storia e dei suoi risvolti.
Visto e considerato che la Disney provvederà al re-casting di tutti i personaggi nel momento in cui intavolerà il proprio reboot, X-Men: Dark Phoenix, diretto dallo sceneggiatore e collaboratore di lungo corso di Bryan Singer Simon Kinberg, offre la possibilità di vedere all’opera un’ultima volta James McAvoy nei panni di Xavier, connotato in questo caso in maniera imprevedibile e schizofrenica, Michael Fassbender in quelli di Magneto e Jennifer Lawrence nel ruolo di Raven, alla quale è affidata oltretutto la battuta più programmatica di tutto il progetto: «Siamo sempre noi donne a salvare gli uomini. Dovremmo chiamarci X-Women» (tutti attori, tra l’altro, che ormai calzano i propri personaggi come un guanto, con una dimestichezza e un’agilità che si porta dietro il mestiere e le consapevolezze già acquisite film dopo film).
Una frase, quella appena citata, che tradisce il segno dei tempi, anche se X-Men: Dark Phoenix più che un oggetto femminista lanciato a propulsione nell’ignoto spazio profondo è un blockbuster più conservativo, che anche nella gestione degli effetti speciali e della post-produzione ricorre alle sembianze di un b-movie grezzo e ruspante. Poco allineato alla continuity degli X-Men ma capace, soprattutto nella seconda parte, di amplificare pathos e drammaticità, senso della fine e gestione di un congedo dopo il quale, inevitabilmente, nulla sarà più come prima.
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