X-Men: Giorni di un futuro passato: la recensione di luca ceccotti
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X-Men: Giorni di un futuro passato: la recensione di luca ceccotti

X-Men: Giorni di un futuro passato: la recensione di luca ceccotti

Il background cinematografico degli X-Men è uno dei più lunghi, prolifici e qualitativamente altalenanti della storia dei cinecomic.
Portato per la prima volta sul grande schermo nel 2000 da Bryan Singer, il franchise, anno dopo anno, si è sempre più arricchito di sequel, prequel e spin-off.
Se però è vero che il numero di pellicole dedicate agli eroi X è il più alto sino ad oggi, è anche vero che, nel tempo, sono venute sempre più a mancare continuità e omogeneità. Insomma, tra un film e l’altro, cambi alla regia frequenti e scelte più o meno azzeccate, qualcuno ha perso il “filo del discorso” della storyline orizzontale, che in sostanza si traduce in una domanda: dov’è che si vuole arrivare dopo tanti soldi, tempo e fatica?
La risposta sembra essere in un ritrovato Bryan Singer alla regia di questo X-Men: Giorni di un futuro passato.

Inizialmente nella mani di Matthew Vaughn, già regista del precedente e buonissimo X-Men: L’inizio, questo nuovo capitolo della serie era già da principio destinato ad essere la risposta 20th al The Avengers della Disney: un crossover di proporzioni enormi tra ogni personaggio della serie portato fino ad oggi sul grande schermo. Il problema fu che Vaughn si tirò di punto in bianco fuori dal progetto, almeno per quanto riguarda la regia, ma rimase alla sceneggiatura e alla produzione. E dato che Singer usciva da un periodo non proprio florido della sua carriera, con il flop de Il cacciatore di giganti e, ancora prima, il controverso Operazione Valchiria, all’offerta di ritornare al comando del progetto X-Men non ebbe problemi ad accettare, e a quanto per nostra fortuna.
Infatti, questo Giorni di un futuro passato non solo è il miglior capitolo della serie, ma sotto molti punti di vista anche uno dei migliori cinecomic di sempre, riuscendo nel difficile e fondamentale intento iniziale di emulare il successo dell’avversaria casa di Topolino.

La storia riprende esattamente dopo gli avvenimenti di X-Men: L’inizio e quelli di Wolverine: L’immortale, facendo intersecare le diverse storyline fino ad oggi narrate, e riunendo il tutto in un unicum.
Negli anni ’70, dopo l’avvento dei mutanti, il nuovo capitolo evolutivo dell’uomo, la paura e la diffidenza iniziarono ad impadronirsi della popolazione mondiale, soprattutto americana, dopo quanto accaduto a Cuba. Cavalcando proprio l’onda della diffidenza, Bolivar Trask, ricco ed eminente scienziato, diede inizio al Progetto Sentinella allo scopo di controllare e, se necessario, eliminare la minaccia mutante. Il progetto però aveva bisogno dell’approvazione del congresso, così Mystica, ormai convinta che Trask fosse la principale minaccia per quelli della sua “razza”, il giorno dell’incontro con i membri del congresso, assassinò lo scienziato, venendo però catturata e spianando la strada all’avvento delle Sentinelle.
Nel 2023 ci troviamo in un futuro buio e semi-apocalittico, dove i mutanti vengono marchiati, ghettizzati e uccisi. I pochi superstiti cercano in tutti i modi di sopravvivere e trovare un modo per scongiurare l’estinzione, ma più passa il tempo più tutto si trasforma in una mera illusione. Almeno finché Kitty Pride, con l’aiuto e il consiglio di Magneto e il Professor. X, manda indietro nel tempo la mente di Wolverine, in modo tale da sventare l’assassinio di Trask, fermare quindi Mystica e cambiare il futuro.

La prima cosa che si nota guardando Giorni di un futuro passato e la meticolosità. Infatti, in questo genere di film, dove i viaggi nel tempo sono centrali, c’è sempre il problema dell’incoerenza in determinati particolari. Qui tale problema non solo sembra non presentarsi, ma anzi la carta viaggio temporale viene giocata nel migliore dei modi, donando quell’omogeneità che da tempo mancava al franchise unendo insieme passato e futuro in un buon mix, sceneggiato miscelando perfettamente azione, drama e commedia, senza tralasciare coerenza e contenuto. In più non è così Wolverine-centrico come i capitoli precedenti, lasciando spazio più o meno a tutti i personaggi e, anzi, introducendone anche di nuovi che nelle scene d’azione hanno davvero molto da regalare. È il caso, quest’ultimo, di Quicksilver, interpretato dal giovane Evan Peters, qui ladruncolo adolescente pieno di sé. Le sue scene sono senz’altro le più divertenti, e quando entra in azione lo fa con eleganza e sarcasmo. Dal più criticato dopo il primo trailer del film, passerà ad essere il più amato dopo la visione del film. Il resto del cast, già conosciuto precedentemente, sa il fatto suo, ed in particola modo spiccano le interpretazioni di James McAvoy, profondo ed empatico, e del villain Bolivar Trask, interpretato dal sempre eccellente Peter Dinklage, che pur risultando un po’ un pretesto ai fini della narrazione, riesce a donare momenti interessanti. Ma di simili momento il film ne è più che piano, quasi saturo, grazie all’occhio attento di Singer, che dirige il tutto in modo intelligente, movimentato e omaggiando molto gli anni ’70, senza troppo stereotiparli.

In breve, X-Men: Giorni di un futuro passato è la “killer-App” per eccellenza del mondo X-Men, completo di tutto ciò che si vuole vedere oggi in un cinecomic ad alto budget.
Se la Diseny regala azione e ironia e la DC dramma ed epicità, oggi la 20th ci dona un prodotto di profondo contenuto, divertente e coinvolgente.
La 20th ci ha finalmente donato un cinecomic completo.

Voto: 8.5/10

Luca Ceccotti

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