I film di Sorrentino, soprattutto da This Must Be the Placein poi, sono collezioni di momenti che sottolineano una sensibilità, sembrano degli album, in questo senso hanno un carattere musicale.
Youth racconta per frammenti emotivi, surreali, comici, la pensione di un grande direttore d’orchestra (Michael Caine) che, per un motivo che non riveliamo, ha smesso di salire sul palco, e inizia il film rifiutando un proposta della Regina d’Inghilterra. Si trova, assieme ad altri personaggi del mondo dello spettacolo (un regista in declino, un attore americano che sta preparando un nuovo ruolo, la nuova Miss Universo e perfino Maradona) e alla figlia, in un grande centro termale sulle alpi Svizzere.
Non c’è spazio per ulteriori letture del film, ogni pensiero e riga d’umore sono verbalizzati e sottolineati dalla colonna sonora. È un cinema esplicito e ripetitivo, ma in cui una parte del pubblico e della stampa continua a riconoscere generosità e talento formale più che – ed è il mio caso – egotismo e superficialità.
Probabilmente il suo merito maggiore è proprio questo, quello di polarizzare intimamente l’audience e quindi costringere al confronto. Inoltre non si capisce perché, e qui spezzo un’altra lancia a favore del film, l’afasia dei personaggi e l’economia di movimenti di macchina di tanto cinema “povero” osannato ai festival, cioè la riduzione al minimo comune denominatore degli strumenti espressivi, debba essere un pregio, mentre il massimalismo un difetto. Sapete bene che qui a Best Movie non siamo mai stati di questa opinione.
Detto questo, servirebbe un progetto artistico che vada oltre la ricerca dell’inquadratura a effetto e la continua ri-messa in scena del proprio (alter) ego, si chiami Giulio Andreotti, Jep Gambardella o Fred Ballinger (ma in realtà tutti i personaggi del film parlano allo stesso modo, da Miss Universo alla piccola fan dell’attore). Sorrentino proietta e moltiplica il proprio spleen e il proprio orgoglio di non-intellettuale, la propria malinconia creativa e il proprio gusto musicale. Manca, invece, una costruzione di senso che richieda allo spettatore un contributo, e un po’ d’ordine nel metterla in scena, una certa misura nel pronunciarla. I tempi, soprattutto, andrebbero gestiti con più saggezza, la sproporzione tra minutaggio e spunti di racconto genera il caos (e sappiamo pure che molto del girato, come al solito, non è finito nel film).
Ecco: il cinema di Sorrentino è maniaco-depressivo, cinema che racconta la depressione con un entusiasmo e una ripetitività che ti sfiancano. Cinema dell’incontinenza creativa.
Leggi la trama e guarda il trailer
Mi piace:
La capacità di polarizzare intimamente l’audience e costringere al confronto.
Non mi piace:
La sproporzione tra minutaggio e spunti di racconto, che genera il caos.
Consigliato a chi:
Ai fan di Sorrentino e a chi predilige un cinema massimalista, denso di immagini raffinate, parole e musica.
Voto: 3/5
© RIPRODUZIONE RISERVATA