Zona d'ombra: la recensione di Donato Prencipe
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Zona d’ombra: la recensione di Donato Prencipe

Zona d’ombra: la recensione di Donato Prencipe

La storia del dott. Bennet Omalu o meglio la sua scoperta/rivelazione che lo ha reso popolare viene servita al cinema scritta e diretta da Peter Landesman, per la prima volta dietro ad una cinepresa. Nella sua opera prima dirige un egregio Will Smith (Io sono leggenda) nei panni proprio del medico nigeriano, trasferitosi in America per dare vita ai suoi sogni e ideali difficilmente perseguibili in patria, anche se si accorgerà che un paese che faceva della libertà e della ragione di essere i suoi slogan principali, si rivelerà solo uno specchio per le allodole. Siamo agli inizi del 2000 quando Omalu, provvisto di numerosi titoli di studio e in quegli anni anatomopatologo di Pittsburgh si imbatte per la prima volta nel cadavere di un ex giocatore di football. Nel corso della sua autopsia riscontra alcune incongruenze dettate dall’anatomia del suo corpo, quasi a volergli rivelare la vera causa del decesso nascosta dietro la più comoda causa di infarto. Tali incongruenze lo portano a scoprire una nuova patologia, alla quale darà il nome di Encefalopatia traumatica cronica, che aveva come unico fattore di causa i ripetuti traumi cranici avvenuti durante le partite di football. La scoperta naturalmente fa impallidire l’intero mondo del pallone ovale, dal capo della NFL all’ultimo tifoso. La pubblicazione della sua scoperta su un articolo di rivista scientifica crea lo scalpore che poteva destare simile annuncio, facendo infuriare gli addetti ai lavori, dal momento che una notizia del genere poteva far precipitare tutti in un buco nero, nonché vedere gli introiti derivanti da uno degli sport più amati a livello nazionale e non solo precipitare a picco. Le intimidazioni che di lì a poco riceverà il medico saranno molteplici, frutto di un’ignoranza popolare di tutti coloro i quali si sentivano chiamati in causa per aver messo in discussione il “loro gioco”, la paura di vedersi sottrarre la “distrazione lieta” domenicale dalle vicissitudini della vita, poco male se a discapito della salute di esseri umani. Solo la denuncia e la morte di altri ex giocatori porterà L’America tutta a prendere in seria considerazione la patologia anche se da allora non sembra sia cambiato molto.

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