Oggi pubblichiamo la quarantunesima puntata del nostro approfondimento sulla storia degli Effetti speciali al cinema, con cui ripercorriamo alcuni dei momenti più memorabili passati sul grande schermo.
Nel cammino compiuto dalle tecniche degli effetti speciali, di cui stiamo ripercorrendo le tappe più significative in questo nostro speciale, è giusto dedicare spazio anche a Sin City, il film con cui Robert Rodriguez ha portato sul grande schermo l’omonima serie a fumetti di Frank Miller. Non è tanto per la novità della tecnica utilizzata qui, il chroma key, quanto per il modo e la continuità con cui Rodriguez l’ha applicata al suo film. Innanzitutto è importante dire che il chroma key (letteralmente chiave cromatica) è in pratica un’evoluzione del matte painting che veniva utilizzato fin dagli anni ’30 in film come Il mago di Oz e consentiva di integrare riprese in live action con sfondi dipinti attraverso l’uso di mascherini. Nell’era digitale il processo viene ovviamente facilitato dall’uso della computer grafica che consente di unire due sorgenti video e aggiungere a scene girate in live action dentro a studi dotati di green screen, fondali virtuali realizzati in CGI. In poche parole il chroma key sfrutta un particolare colore (appunto il “colore chiave”) per segnalare al mixer video quale sorgente usare in un dato momento e interpreta il colore chiave come trasparente. Perché l’effetto riesca è necessario che gli attori di fronte al green screen non indossino indumenti dello stesso colore dello sfondo, che verrebbero altrimenti “bucati” dal chroma key. Questa tecnica (normalmente utilizzata anche in ambito televisivo per esempio per le previsioni del tempo) era già stata ampiamente impiegata in precedenza in film come Matrix o la nuova trilogia di Guerre stellari. La particolarità dell’uso che ne fu fatto per Sin City fu quella di voler mantenere l’atmosfera e le caratteristiche grafiche del fumetto, senza ricercare il realismo nei fondali che infatti appaiono qui palesemente disegnati in stile comic. Sin City, con Sky Captain and the World of Tomorrow, è stato tra i primi film in cui ogni singolo frame è stato realizzato con il chroma key (e dopo di lui anche 300 di Zack Snyder si è avvalso di questa tecnica per tutta la sua durata proprio per mantenere l’effetto fumetto).
Ed è stata proprio la possibilità di realizzare il film con questa modalità che ha convinto Rodriguez a portare sul grande schermo l’opera di Miller che sarebbe stata altrimenti difficile da trasporre attraverso un classico film live action. Una scelta che il regista ha più volte confermato affermando: «Non voglio fare il Sin City di Robert Rodriguez ma il Sin City di Frank Miller».
Una curiosità: prima della la tecnica del chroma key veniva utilizzato il Blue Back: alle scene con gli attori venivano integrate scene live action girate davanti a blue screen.
In seguito dal blu come colore chiave si è passati al Pantone 354 (verde), perché più adatto alle telecamere digitali.
Sin City, il making of
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