In risposta all’articolo (eccessivamente) entusiasta di Fabio Guaglione (che consiglio caldamente di leggere in generale, ma che è assolutamente necessario leggere per comprendere i punti salienti delle obbiezioni che propongo).
Leggi Un messaggio semplice di Guaglione
Un messaggio semplice
(segue da) Guaglione dice che una storia va anche e soprattutto giudicata dal finale. Perché è il finale a darle un senso. Perfettamente d’accordo. È proprio il mio punto di vista. E allora, come possiamo pensarla in modo tanto differente? Poi ci faccio caso. Esattamente quelli che Fabio Guaglione, ritiene valori e punti forti, per me sono le debolezze di Lost (alla luce del finale, ci tengo a ribadirlo). Innanzitutto, quando mi si dice che in questo finale c’è un messaggio, mi piacerebbe che si esplicitasse anche un po’ meglio quale sia. E soprattutto, che mi si esplicitasse il reale spessore di questo messaggio. Guaglione lo definisce semplice, io direi che è piutttosto tremendamente semplicistico, purtroppo. Guaglione si sbilancia fino a parlare addirittura di mosaico perfetto. Un’affermazione che dal mio punto di vista ha quasi dell’inverosimile. Ma cosa ha visto per sei anni, mi verrebbe da gridare? Una storia è fatta di tanti elementi. Una storia è un insieme complesso, la cui totalità forma qualcosa di superiore alla singola somma degli elementi medesimi. Una rete in cui ogni singolo aspetto dovrebbe intrecciarsi inestricabilmente con gli altri acquistando significati ulteriori proprio alla luce della sua posizione nella totalità e delle sue relazioni nel contesto generale. Quando la magia funziona, al lettore/spettatore, dovrebbe restare una sensazione di compiutezza e di aver assistito a una sorta di vera e propria rivelazione. Tutto, alla fine deve andare al proprio posto (si spera accuratamente progettato), tutto ci dovrebbe apparire a quel punto con estrema chiarezza.
A me pare invece che di Lost restino piuttosto i singoli momenti (tra i personaggi) o i singoli colpi di scena, o alcune svolte narrative, alcuni dialoghi. Alcuni momenti restano illuminanti, ma non trovo che la somma di questi riesca a creare quel qualcosa in più che dovrebbe rappresentare l’opera nella sua complessa totalità. Semmai è il contrario. Ogni singola parte non entra completamente in relazione con le altre e non forma la rete di un tessuto narrativo compiuto e senza falle. Alla fine la somma degli elementi sembra addirittura qualcosa di meno del singolo elemento stesso. (continua)
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Alfonso Papa ha frequentato il master biennale in Tecniche della narrazione presso la scuola Holden di Torino. Tra le altre cose ha collaborato con la casa editrice Einaudi in qualità di lettore e ha lavorato su alcuni set cinematografici, tra cui Radiofreccia di Luciano Ligabue e Un amore di Gianluca Tavarelli. Dal 1999 al 2007, prima per l’Associazione Cinema Giovani e poi per il Museo Nazionale del Cinema, si è occupato dell’organizzazione del Torino Film Festival. Attualmente lavora in qualità di production manager per la Film Commission Torino Piemonte. Lo scorso marzo era tra i giurati della manifestazione cinematografica Piemonte Movie 2010.
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